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Affrontare (e vincere?) la rivoluzione hi-tech

Il futuro del lavoro è il tema attualmente al centro del dibattito culturale e politico più avanzato. Ci si chiede se l’umanità seguirà lo stesso destino dei cavalli, che all’inizio del XX secolo appariva ancora luminoso e ricco di aspettative, ma che nel giro di qualche decennio è stato soppiantato da automobili e trattori o se invece, grazie alla maggiore flessibilità e capacità di adattamento, riusciremo a stare al passo con l’avanzamento della tecnologia e sapremo utilizzare a nostro vantaggio le innovazioni che stanno rivoluzionando non solo le attività lavorative ma anche il campo delle relazioni e dei rapporti interpersonali. Una sfida difficile e dagli esiti incerti. Secondo il new paper redatto nello scorso mese di marzo dagli economisti Daron Acemoglu del M.I.T. (Massachusetts Institute of Technology) e Pasqual Restrepo della Boston University, Robots and Jobs: Evidence from US Labor Markets (http://www.nber.org/papers/w23285) uno dei primi studi che ha accertato gli effetti negativi della rivoluzione tecnologica in atto, tra il 1990 e il 2007 ogni robot industriale introdotto negli Stati uniti su una base di mille dipendenti ha ridotto l’occupazione di quasi sei lavoratori. Questi dati devono essere considerati particolarmente significativi in quanto analizzati da due studiosi di fama internazionale, che si sono sempre contraddistinti per una visione positiva dell’automazione. In un paper realizzato lo scorso anno, teorizzavano infatti che la robotizzazione avrebbe portato nuovi posti di lavoro più qualificati e attivato un circolo virtuoso grazie al quale l’occupazione sarebbe tornata ai livelli precedenti, con il vantaggio di avere un maggiore contenuto di qualità.

Una minaccia destinata a crescere
Queste previsioni ottimistiche si sono però scontrate con la realtà dei fatti causando un malessere diffuso efficacemente riassunto da una frase di Daron Acemoglu, che ha affermato: “If you’ve worked in Detroit for 10 years, you don’t have the skills to go into health care” (Se hai lavorato a Detroit per 10 anni non hai le competenze per trovare un impiego nell’assistenza sanitaria). Robots and Jobs ha inoltre evidenziato che soprattutto nel mercato locale l’avvento dell’automazione ha causato, sempre nel periodo 1990-2007 una perdita di circa 670 mila posti di lavoro nel settore manifatturiero, ma che questa cifra è destinata a crescere in modo significativo perché il numero dei robot quadruplicherà nel corso dei prossimi anni. Ha sottolineato poi che l’automazione, più di altri fattori come il dumping (concorrenza a basso costo nel commercio) e l’offshoring (delocalizzazione della produzione per diminuire i costi di mano d’opera) è la più grande minaccia sia per il numero di blue collars e white collars, cioè di chi svolge attività manuali o esercita occupazioni non manuali, sia per il livello di salari e stipendi. Acemoglu e Restrepo fanno infatti notare che se finora i posti persi sono stati inferiori ai due milioni di impieghi venuti a mancare tra il 1999 e il 2011 in seguito al commercio con la Cina, la situazione nel trade si è ormai stabilizzata, mentre l’era dei robot è solo all’inizio. L’avvento dei robot ha colpito sia il lavoro maschile sia quello femminile, ma l’effetto negativo sulle attività svolte prevalentemente dagli uomini è stata due volte maggiore rispetto a quello delle donne, probabilmente perché sono in genere più disposte ad accettare dei tagli retributivi e ad accettare settori meno gratificanti. Nonostante questi dati negativi, alcuni economisti fanno notare che la tecnologia aiuterà comunque le persone a svolgere più efficacemente il proprio lavoro e questa maggiore capacità produttiva favorirà la crescita di nuove attività. Ma questo circolo virtuoso avrebbe dovuto attivarsi nella prima metà del Novecento anche per il mercato dei cavalli. Tra il 1910 e il 1950 l’uso dei trattori ha avuto un aumento esponenziale e ha causato una fortissima diminuzione degli animali utilizzati in agricoltura. Da questa durissima selezione ne è rimasto escluso, proprio come sta accadendo oggi per alcune mansioni nell’industria, solo un numero limitato di cavalli, indispensabile per svolgere i lavori non sostituibili dalla meccanizzazione. Contemporaneamente, dato che la domanda aveva avuto un forte rallentamento, è diminuito drasticamente (circa l’80 per cento) anche il prezzo dei cavalli, ma questo ha solo ridotto il processo di sostituzione perché le nicchie di produzione disponibili per il loro utilizzo erano in numero limitato. Nella maggior parte dei casi il basso costo dei cavalli ha fatto diventare antieconomico il loro mantenimento e reso inevitabile la loro eliminazione. Negli Usa, tra il 1918 e il 1950 il numero è così passato da ventuno a tre milioni.

Non subire il cambiamento
Un fenomeno analogo sta attualmente accadendo nel mercato del lavoro. Acemoglu e Restrepo ritengono che l’inserimento di un nuovo robot ogni mille lavoratori riduce i salari dello 0,5 per cento e, nelle economie più ricche, provoca una parziale redistribuzione di mano d’opera a basso costo nel settore dei servizi. Invece di intervenire direttamente sui meccanismi di creazione dei posti di lavoro, i governi preferiscono agire attraverso politiche di welfare con indennità di disoccupazione, assistenza sanitaria, aiuti per la ricerca di un alloggio e il pagamento dell’affitto. Questi interventi di sostegno, utili per attenuare gli effetti negativi della robotizzazione, non sono tuttavia decisivi e devono essere accompagnati da misure che possano aiutare a risolvere in modo radicale i problemi economici e sociali provocati dall’automazione. Gli elementi fondamentali per stare al passo con i cambiamenti tecnologici e, quando possibile, avvantaggiarsi della nuova organizzazione del lavoro e delle diverse competenze richieste sono la preparazione di base e soprattutto la capacità di aggiornamento continuo durante le fasi della carriera lavorativa. Il tema della formazione è già stato affrontato nelle precedenti rivoluzioni industriali che hanno progressivamente favorito, soprattutto nelle economie più evolute, l’aumento della scolarizzazione di un numero crescente di persone con un’istruzione superiore e di laureati spesso in possesso di master e specializzazioni.

Aumentare le competenze
Ma questo modello, in cui l’istruzione pubblica ha avuto un ruolo fondamentale, non è più sufficiente. Oggi la robotica e l’intelligenza artificiale richiedono una nuova rivoluzione della conoscenza. L’attività lavorativa, che è diventata molto lunga e in continua evoluzione, richiede un deciso cambio di passo. Oltre a favorire un modello di istruzione orientata verso la trasmissione di competenze trasversali e la promozione di attività logiche che non diventano obsolete in un contesto lavorativo fluido, è infatti fondamentale dare a tutti la possibilità di acquisire nuove capacità durante l’itinerario professionale, il quale non segue più una via prestabilita ma richiede flessibilità, disponibilità ad adeguarsi ai nuovi modelli di produzione e a cambiare attività nel corso della carriera. Ma le possibilità di apprendimento continuo oggi maggiormente diffuse si rivolgono quasi esclusivamente alle persone già in possesso di una preparazione di livello elevato e, nella maggior parte dei casi, diventano un elemento che favorisce le disuguaglianze e alimenta così i conflitti. Il modello classico dell’educazione, che punta sull’apprendimento scolastico e sull’ottimizzazione delle capacità in ambito lavorativo è ormai arrivato al capolinea. Per riuscire a massimizzare i vantaggi della robotizzazione, le aziende hanno infatti una sempre maggiore necessità di acquisire più abilità intellettuali rispetto a quelle dell’industria manifatturiera tradizionale, come dimostra la tendenza della continua riduzione dei lavori di routine. Chi è in possesso di un’istruzione troppo specialistica tende inoltre a uscire dal mercato del lavoro prima di chi ha una formazione più ampia perché generalmente tende ad adattarsi in misura minore al cambiamento. Se a questo aggiungiamo che la formazione sul posto di lavoro nella maggior parte dei casi si sta riducendo e che, allo stesso tempo, si diffonde il lavoro autonomo, diventa fondamentale saper acquisire e mantenere le competenze necessarie per tutta la carriera lavorativa. Per soddisfare queste esigenze sono nate delle piattaforme a pagamento come Pluralsight, che si rivolge soprattutto a sviluppatori di software, amministratori di sistemi operativi e alle professioni creative nell’ambito del web, o alle lezioni online per la maggior parte gratuite dei Mooc (Massive Open Online Courses), corsi di livello universitario pensati per una formazione a distanza, che comprende Coursera, azienda statunitense creata da docenti di Scienze dell’informazione dell’Università di Stanford, leader di questo nuovo sistema educativo in cui si segnalano anche Udacity ed Edx, fondata dal Massachusetts Institute of Technology e dall’Università di Harvard. Iniziative utili per mantenere e accrescere le proprie competenze, ma che hanno il limite di rivolgersi a chi ha già delle nozioni informatiche e una buona formazione culturale e professionale e non a una platea più vasta di lavoratori.

Il ruolo dei governi
Nei prossimi anni una delle maggiori sfide delle società più industrializzate dovrà essere quella di dare la possibilità, anche a chi ha qualifiche meno elevate, di avere accesso a una formazione flessibile e non eccessivamente onerosa. Sarà necessaria una grande capacità di progettazione del futuro, come è già avvenuto nel XIX e XX secolo con le politiche educative su larga scala che hanno consentito di raggiungere risultati straordinari nel campo dell’alfabetizzazione e della scolarizzazione di massa, fondamentali per rispondere nel modo migliore alle richieste delle precedenti rivoluzioni industriali di una preparazione adeguata e, contemporaneamente, contribuire al miglioramento sociale ed economico di un numero molto elevato di persone. Dato che l’istruzione è un bene che appartiene a tutti, i cui vantaggi vengono distribuiti alla società nel suo insieme, i governi devono avere un ruolo fondamentale per definire e supportare la quantità e la qualità della spesa pubblica. Per raggiungere questo risultato è importante avere la collaborazione delle grandi aziende con un elevato contenuto di competitività per favorire, attraverso sgravi fiscali o altre misure di sostegno alla produttività, l’apprendimento permanente di competenze digitali e professionali per i loro dipendenti. Fondamentale è anche chiedere la partecipazione dei sindacati, che possono svolgere un ruolo molto utile nell’organizzazione di corsi di formazione permanente soprattutto per i lavoratori autonomi o per chi svolge la propria attività all’interno di piccole e medie imprese, oltre all’emissione di crediti formativi da utilizzare in strutture convenzionate di qualità riconosciuta come per esempio i Mooc.

La nuova “creative destruction”
Se gli Stati uniti sono il paese in cui si sono manifestati in anticipo e nel modo più evidente i problemi prodotti dalla tecnologia dirompente alla base di questa nuova creative destruction, il processo di selezione in cui molte aziende devono ritirarsi dal mercato per lasciare il passo ad altre più competitive, possono essere presi a esempio anche per comprendere le motivazioni che spingono numerose imprese a non alto valore aggiunto a non delocalizzare nel vicino Messico o in altre aree del Centroamerica. Per le lavorazioni basate su un tipo di attività ripetitiva vengono ancora preferiti paesi in cui la manodopera ha un costo molto inferiore rispetto a quella degli Usa, mentre per quelle più avanzate in cui il controllo umano è fondamentale, come per esempio i settori dell’aerospaziale, del farmaceutico o delle attrezzature mediche, si è scelto di puntare sulla manodopera altamente qualificata supportata da ingegneri e scienziati formati nelle università e nei centri di ricerca americani. Negli ultimi dieci anni, cioè da quando hanno dovuto affrontare la forte concorrenza estera, le aziende manifatturiere hanno deciso di investire in tecnologie che hanno reso le proprie strutture più efficienti e ad alta specializzazione. Questo ha portato, in un primo tempo, alla perdita di numerosi posti di lavoro che sono stati automatizzati, ma anche alla creazione di nuove mansioni, che richiedono competenze di livello elevato. Finora, come ha affermato Timothy F. Slaper, docente di analisi economica del dipartimento di Business Research Center dell’Indiana University a The Atlantic (https://www.theatlantic.com/business/archive/2017/01/america-is-still-making-things/512282/) solo una parte di persone che negli anni scorsi hanno perso il posto di lavoro nel commercio o nelle aziende a non alto valore aggiunto, ha deciso di riqualificarsi attraverso le università o i corsi messi a disposizione dalle politiche del governo Usa, ma le nuove generazioni sono molto più propense a raggiungere il livello di istruzione necessaria per impieghi supportati dalla tecnologia più avanzata perché solo competenze elevate possono consentire una carriera soddisfacente.

 


“Nel mercato del lavoro sta accadendo un fenomeno simile a quello che ha portato alla sostituzione dei cavalli nella prima metà del Novecento”

“Le politiche di welfare sono utili per attenuare gli effetti negativi della robotizzazione ma non risolvono il problema dell’automazione”

“Gli attuali modelli di formazione sono stati pensati per un’organizzazione del lavoro che è entrata in profonda crisi ed è ormai superata”

“Per essere competitivi sono oggi fondamentali una buona istruzione di base e l’aggiornamento continuo durante le diverse fasi della carriera”

“I governi devono avere un ruolo fondamentale per definire gli interventi pubblici perché l’istruzione è un bene che appartiene a tutti”

“Negli Usa molte aziende con una produzione di alto valore aggiunto non delocalizzano più e puntano su una manodopera altamente qualificata”

 


 

I nuovi spazi di lavoro
Sotto il segno della produttività, tra comfort e maggiori controlli

A San Francisco e nella Silicon Valley è in atto una trasformazione architettonica definita dalla costruzione della Salesforce Tower e dalle avveniristiche sedi di società come Uber e Apple. Il nuovo edificio dell’azienda di Cupertino, a forma di un grande anello in vetro e cemento è emblematico e aiuta a capire come sta evolvendo l’organizzazione del lavoro. Per favorire la produttività, i volumi all’interno della struttura sono divisi in due zone, una personale in cui concentrarsi sulla propria ricerca e una collettiva, caratterizzata da grandi tavoli, dedicata alla collaborazione con gli altri dipendenti. Gli spazi comuni sono stati progettati come un’abitazione con divani, televisori, scaffali per libri e supporti elettronici, caffè, coffee shop, spazi per meeting in modo da offrire il massimo comfort sia nei momenti di riflessione sia nelle pause relax. L’idea di base che definisce il progetto è quella di facilitare un tipo di lavoro che si svolge in aree diverse, invece di quello tradizionale legato a una postazione fissa. Gli ambienti, che richiamano l’idea di uno stile di vita condiviso, consentono di avere maggiori possibilità di incontrare nuove persone con cui scambiare idee e avviare collaborazioni. Per quanto riguarda la gestione ottimale dei propri impiegati e della logistica si tende inoltre a utilizzare i sistemi hi-tech in misura sempre maggiore. Nvidia, l’azienda conosciuta per la produzione di componenti di prodotti multimediali, ha deciso di installare il riconoscimento facciale nella sua sede a Santa Clara in California e di dotare i servizi di caffetteria e ristorante di un sistema di telecamere che consente di evitare le file e la presenza dei cassieri. Anche i pulmini che fanno la navetta tra i vari punti di raccolta dei dipendenti e i diversi edifici saranno dotati di telecamere e costantemente monitorati. Altre società stanno invece valutando la possibilità di dare a ogni lavoratore un cellulare, o di installare su sedie e scrivanie sensori collegati con la propria banca dati per ottimizzare l’attività dei dipendenti. Ma queste informazioni, anche se dovranno essere anonime per non infrangere la legge sulla privacy, creeranno comunque una “cultura della sorveglianza”, che condizionerà in modo profondo idee e comportamenti dei propri dipendenti.

 

Shawn Maximo, SMCC (particolare), 2017.
Dalla mostra Work it, feel it!, Kunsthalle Wien.
Courtesy the artist

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