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Nuove soluzioni contro il riscaldamento globale

Alla fine dello scorso anno si è tenuta a Parigi la XXI Conferenza delle Nazioni unite (Cop21), che si è conclusa con un nuovo accordo sul clima, firmato il 22 aprile scorso, dopo quelli di Rio de Janeiro del 1992, del protocollo di Kyoto del 1997 e della conferenza di Copenaghen del 2009. L’impegno ambizioso, sottoscritto da 175 paesi, compresi tutti i maggiori rappresentanti dell’economia mondiale, è quello di limitare l’aumento medio della temperatura alla fine del secolo a un grado e mezzo e comunque al di sotto due gradi, che altrimenti potrebbe crescere fino a quasi quattro gradi con conseguenze gravissime per l’intero ecosistema. Al di là dei risultati raggiunti e nonostante i dubbi sulla concreta attuazione di questi obiettivi (una parte dei paesi firmatari come Cina, Stati uniti, Germania e Giappone investono ancora sulle centrali a carbone mentre l’Italia finanzia il fossile nella Repubblica Domenicana) la conferenza di Parigi ha avuto il merito di focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sulle conseguenze dei cambiamenti climatici. Come suggeriscono i due studiosi americani Gernot Wagner, economista all’Environmental Defense Found, e Martin L. Weitzman, docente di economia alla Harvard University, autori di Climate Shock: The Economic Consequences of a Hotter Planet (Princeton University Press, pagg. 264, 18,95 dollari, eBook 13,84 dollari) se pensiamo di avere il 10 per cento di probabilità di incorrere in un incidente stradale prendiamo tutte le precauzioni per evitarlo. Se sappiamo di avere il 10 per cento di possibilità di subire una forte riduzione del rendimento dei nostri risparmi, cambiamo gestore finanziario, ma se veniamo a conoscenza che il mondo si sta riscaldando e abbiamo il 10 per cento di probabilità di andare incontro a una catastrofe restiamo quasi indifferenti. Per quale motivo assicuriamo le nostre vite ma non il nostro pianeta da cui dipende la nostra stessa esistenza? In Hotter Planet, un libro esemplare per profondità e chiarezza sui danni provocati dal riscaldamento ambientale e sulle possibili soluzioni per imparare a gestire i rischi causati dalle emissioni di gas serra, Wagner e Weitzman, affermano che si potrà vincere questa sfida solo se diventerà la questione politica più importante a livello globale perché più aspettiamo ad agire più aumentano le possibilità che accada un evento estremo.

Le asimmetrie del “free riding”
Sono molte le cause, che hanno impedito finora progressi rapidi nel contrasto ai cambiamenti climatici. I motivi sono numerosi e possono essere imputati alle lobby del petrolio e del carbone, alle dichiarazioni dei negazionisti climatici, alla insufficiente informazione dell’opinione pubblica, allo scarso appeal delle comunicazioni scientifiche e al fatto che le soluzioni da adottare sono costose e daranno benefici solo nel futuro. Ma la ragione fondamentale è probabilmente da ricercare nel free riding, cioè quel comportamento che consente di usufruire di un bene pubblico senza pagare alcun prezzo, che si rivela particolarmente sfavorevole per quelle attività in cui sia gli effetti positivi sia quelli negativi sono inscindibili, come accade per i cambiamenti climatici, che vengono condivisi a livello globale indipendentemente dai paesi maggiormente responsabili dei danni causati all’ambiente. Wagner e Weitzman evidenziano che gli investimenti per ridurre le emissioni di anidride carbonica (CO2) prodotte dall’uso di combustibili fossili (carbone, petrolio) e dalla deforestazione che sta riducendo le aree verdi della terra rappresentano un bene pubblico globale e richiedono costosi investimenti da parte dei singoli paesi, che ricevono però solo una piccola parte di questi vantaggi. I beni pubblici globali differiscono inoltre da quelli nazionali o locali perché i diversi paesi possono o meno aderire e dare attuazione a convenzioni o protocolli. 

I limiti dell’interesse nazionale
Secondo Wagner e Weitzman, per vincere la battaglia contro il riscaldamento globale può essere utile confrontare le tecniche utilizzate contro il fumo e l’inquinamento, che hanno portato a risultati significativi per la salute e il benessere collettivi, con le strategie da mettere in campo contro i gas serra. Il free riding può essere evitato per problemi come la salute e l’inquinamento atmosferico perché governi efficienti riescono a superare l’indifferenza pubblica, l’ostilità degli interessi industriali e a trovare un ragionevole equilibrio tra costi per la tutela dell’ambiente e benefici per i cittadini, come dimostrano i successi ottenuti da Stati uniti, Unione europea e Giappone nella riduzione del fumo e nelle emissioni di anidride solforosa e altri aggressivi inquinanti dell’ambiente. Per quanto riguarda i cambiamenti climatici il comportamento free riding suggerisce invece ai singoli stati di fare investimenti minimi perché nel breve periodo i benefici maggiori, in rapporto ai costi sostenuti, non andranno a favore dell’interesse nazionale ma di quello globale, impedendo di attuare concretamente i trattati sul clima e di raggiungere risultati significativi.

La teoria del cigno nero
I modelli climatici ci informano che le emissioni di gas serra hanno contribuito negli ultimi cento anni all’innalzamento di un grado di temperatura, con un veloce incremento tra la fine del Novecento e l’inizio del Duemila causando forti cambiamenti climatici, che hanno influito negativamente sull’agricoltura, sulle riserve idriche e su tutto l’ecosistema e provocato la diminuzione dei ghiacciai, l’innalzamento del livello dei mari, siccità, estinzione di specie vegetali e animali, con conseguente incremento dei conflitti internazionali e delle migrazioni per sfuggire a condizioni di povertà estrema. All’origine del conflitto siriano è infatti la terribile carestia che ha spinto larga parte della popolazione a emigrare dalle campagne alle città, con problemi economici e proteste che hanno provocato la feroce reazione di Assad. A questi problemi si aggiungono i cosiddetti cigni neri (o tail events), cioè le situazioni impreviste di forte impatto che ci colgono impreparati e possono dare origine a eventi catastrofici, con la conseguente caduta fino al 30 per cento del prodotto interno lordo mondiale. Uno shock che, soprattutto se si manifesta in un breve lasso di tempo potrebbe essere molto più grave di quelli provocati dalla Grande depressione del 1929 e dalla crisi finanziaria della fine del 2006, all’origine della Grande recessione ancora in corso. Wagner e Weitzman sostengono inoltre che con le attuali politiche c’è il 10 per cento di probabilità che le temperature globali possano aumentare di almeno sei gradi e questo potrebbe significare “the end of the human adventure on this planet as we now know it” (la fine dell’avventura umana su questo pianeta come la conosciamo oggi). Le politiche pubbliche di tutti i paesi dovranno quindi essere mirate ad evitare i possibili tails event con aumenti di temperatura estremamente pericolosi.

Gli interrogativi della geoingegneria
Ci sono attualmente due modi per rallentare il riscaldamento climatico e diminuire le probabilità di danni catastrofici, ridurre le emissioni di gas serra, oppure utilizzare tecniche di modifica dell’ambiente per limitare la presenza di CO2 nell’atmosfera. Con la geoingegneria, simulando gli effetti di un’eruzione vulcanica e conseguente produzione di diossido di zolfo, si potrebbe per esempio rendere la superficie terrestre più riflettente ai raggi del sole in modo da raffreddarla e compensare così il riscaldamento provocato dalla produzione di anidride carbonica. Ma questo tipo di intervento, che a parere di alcuni studiosi ha dei costi inferiori a quelli necessari per abbattere le emissioni di CO2, comporta dei rischi ancora difficilmente prevedibili, tra cui la redistribuzione delle piogge nelle varie regioni del mondo e non avrebbe alcun effetto sulla riduzione dell’acidificazione degli oceani causata dall’aumento di CO2, che influisce in modo considerevole sul riscaldamento globale. Azioni di questo tipo dovrebbero inoltre avere un vastissimo consenso da parte degli organismi di governance internazionale in modo da evitare o almeno ridurre gli attriti politici tra i diversi paesi. A queste considerazioni bisogna aggiungere che sono pochi gli esperimenti di geoingegneria fatti finora e la maggior parte degli effetti, positivi e negativi, sono previsti da simulazioni al computer con tutti i limiti che comportano. Senza dimenticare che l’ingegneria climatica potrebbe essere usata nel corso di conflitti come strumento di guerra con la conseguenza di tails event devastanti. Per evitare derive pericolose è quindi preferibile concentrarsi sulla riduzione delle emissioni, ma come evitare il problema del free riding?

Il club del clima
Wagner e Weitzman invitano a riflettere sul costo reale delle emissioni di CO2 sul sistema economico e sociale, molto superiore a quello di mercato, che induce la maggior parte dei paesi a non ridurre il suo consumo, dato che devono unicamente sfidare le proteste ambientaliste senza incorrere in sanzioni economiche e propongono di mettere la sfida del clima al centro delle politiche internazionali. Come suggerisce William Dawbnwy Nordhaus, docente di economia alla Yale University su The New York Review of Books, bisognerebbe inoltre ripensare la struttura degli accordi sul clima sull’esempio di trattati di successo come quello del World Trade Organisation, l’Organizzazione mondiale del commercio, la cui essenza è quella del model club. Un club è costituito da un gruppo di volontari che hanno un interesse reciproco e condividono i costi di produzione di una attività pagando una quota. I benefici di un club di successo sono sufficientemente elevati da consentire ai membri di rispettare le regole impegnandosi a pagare le quote attraverso una riduzione armonizzata di anidride carbonica grazie all’aumento del prezzo delle emissioni di CO2. A differenza degli accordi finora raggiunti a Rio, Kyoto e Parigi, i paesi che si trovano al di fuori del club sarebbero posti ai margini delle politiche internazionali con tutte le conseguenze negative che ne derivano. Un progetto che, grazie ai vantaggi reciproci, potrebbe consentire di superare i limiti degli accordi convenzionali sul clima e le incognite della geoingegneria.

 


 

“I progressi nella lotta ai mutamenti ambientali sono stati rallentati da chi vuole usufruire di un bene pubblico senza pagare alcun prezzo”

“I problemi del clima vengono ugualmente condivisi a livello globale tra chi è più o meno responsabile dei danni causati all’ecosistema”

“Gli investimenti per ridurre le emissioni di CO2 sono un bene universale e i singoli paesi ricevono solo una piccola parte di questi vantaggi”

“Le tecniche di modifica dell’ambiente per limitare la presenza di CO2 nell’atmosfera comportano dei rischi ancora difficilmente prevedibili”

“Bisogna ripensare la struttura degli accordi sul clima sull’esempio di trattati di successo come quello del World Trade Organisation”

“I benefici di un club sono sufficientemente elevati da consentire ai membri di pagare le quote attraverso una riduzione di anidride carbonica”

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Anna Conway, Potential, 2015. Dalla mostra Purpose
alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia.

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