Ridurre le emissioni non basta più

Nello scorso mese di luglio un colossale iceberg si è arenato nei pressi di Innaarsuit, un piccolo villaggio di pescatori della Groenlandia occidentale a nord del circolo polare artico, fatto evacuare per evitare il rischio di uno tsunami provocato dal cedimento della massa di ghiaccio che lo avrebbe travolto con onde di enormi dimensioni. Gli icerberg spinti dalle correnti oceaniche rimangono generalmente al largo, mentre a Innarsuit la massa di ghiaccio si è bloccata nelle acque poco profonde della baia. Inoltre, come ha dichiarato Susanne K. Eliassen, membro del consiglio del villaggio, questa massa di ghiaccio è stata “la più grande che abbiamo mai visto”. Causa il cambiamento climatico in atto, i ghiacciai si stanno sfaldando a una velocità maggiore della neve che riescono ad accumulare e di conseguenza episodi di questo genere sono destinati ad aumentare non solo nell’area artica, ma anche nell’Antartide. Pochi giorni prima che l’iceberg arrivasse a Innarsuit, Denise e David Hollande, due ricercatori dell’Università di New York, hanno ripreso in diretta il distacco improvviso di un gigantesco iceberg lungo circa sei chilometri (più della metà dell’isola di Manhattan) dal ghiacciaio di Helheim nella Groenlandia orientale (https://www.nyu.edu/about/news-publications/news/2018/july/scientists-capture-breaking-of-glacier-in-greenland-.html).

Oltre il livello zero
Un evento che per gli scienziati conferma la vulnerabilità della calotta glaciale artica in seguito ai mutamenti climatici, come confermano gli incendi divampati nello stesso periodo anche in Svezia, Lapponia e in altre aree del circolo polare. Per contrastare questi fenomeni, il parlamento svedese ha approvato lo scorso anno una legge all’avanguardia a livello internazionale che obbliga il paese a non rilasciare “emissioni nette” di gas serra nell’atmosfera entro il 2045. Questo non significa che nei prossimi anni gli svedesi non produrranno sostanze che riscaldano il pianeta, perché anche se tutta l’energia elettrica di cui avranno bisogno provenisse da fonti rinnovabili e guidassero solo auto elettriche, continueranno per esempio a viaggiare in areo e molto probabilmente useranno ancora cemento per le abitazioni e fertilizzanti in agricoltura, che causano un livello molto elevato di protossido di azoto, il terzo gas serra più diffuso dopo l’anidride carbonica e il metano. La legge stabilisce la riduzione dell’ottantacinque per cento delle emissioni lorde rispetto ai livelli del 1990. Di conseguenza, se entro la fine del secolo l’innalzamento medio della temperatura a livello globale non supererà il limite di un grado e mezzo come previsto dall’accordo sul clima di Parigi del 2015, le “emissioni nette” di gas serra raggiungeranno lo zero entro il 2090 e, in seguito, diventeranno negative (la quantità di Co2 prodotta sarà inferiore a quella rimossa).

Concentrazione record di Co2
Mantenere la temperatura entro un certo livello consente di avere i flussi di Coal di sotto di una soglia, definita carbon budget, oltre la quale non è consentito andare, ma una volta raggiunto il limite è necessario bilanciare le nuove emissioni con la rimozione dei gas serra. Riuscire a eliminare l’anidride carbonica dall’atmosfera diventa quindi un elemento fondamentale per tenere sotto controllo il riscaldamento globale. Secondo il rapporto State of the Climate realizzato dall’Agenzia Usa per la meteorologia (NOAA) con il contributo di cinquecento scienziati in sessantacinque paesi, la concentrazione di Co2 nell’atmosfera ha raggiunto lo scorso anno il livello record di quattrocentocinque parti per milione, la massima quantità da ottocentomila anni, quando nei poli c’era una minore quantità di ghiaccio e il livello del mare era più alto rispetto a oggi. La percentuale di anidride carbonica tende inoltre ad aumentare anno dopo anno. Secondo la quasi totalità dei modelli definiti dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il Gruppo intergovernativo di esperti delle Nazioni Unite, il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, per raggiungere gli obbiettivi dell’accordo di Parigi, che dopo la mancata adesione degli Stati uniti sono molto incerti, è indispensabile privilegiare le “emissioni negative” perché difficilmente l’aumento della temperatura potrà essere contenuto entro un grado e mezzo senza la rimozione dei gas serra. Anche se questa decisione comporta dei costi più elevati rispetto alla riduzione delle emissioni (si prevede un impegno finanziario di oltre mille miliardi di dollari), a lungo termine si rivelerà la scelta più utile grazie a sistemi di rimozione che possono essere realizzati ovunque. Il modello mediano dell’IPCC, quello che esprime il valore centrale tra i diversi dati, ipotizza di catturare 810 miliardi di tonnellate di anidride carbonica entro il 2100, una cifra che equivale a vent’anni di emissioni globali al ritmo attuale e per avere delle buone probabilità di riuscita si dovrà iniziare ad assorbire Cogià dal 2020. Secondo le previsioni elaborate dall’IPCC i modelli di riferimento dovrebbero essere le NETs (Negative Emissions Technologies) che si basano soprattutto sull’uso di piante perché rappresentano tecnologie collaudate con esiti positivi sia attraverso il rimboschimento delle aree protette sia di quelle in cui la vegetazione è assente.

BECCS, vantaggi e svantaggi
Oltre alle NETs è già possibile utilizzare la Bioenergy with Carbon Capture and Storage (BECCS), una tecnologia che all’uso di energia prodotta da biomasse unisce la cattura e lo stoccaggio del carbonio. Nella BECCS, le centrali elettriche vengono alimentate da alberi e colture in cui l’anidride carbonica prodotta, invece di essere rilasciata nell’aria, viene assorbita negli strati geologici profondi e contribuisce così a rimuovere la Co2 dall’atmosfera. Questo metodo ha però lo svantaggio di costare circa il doppio rispetto alle centrali elettriche tradizionali e ha inoltre la necessità di avere a disposizione enormi quantità di terreno in cui coltivare le piante che devono essere bruciate per produrre energia. Le dimensioni delle aree variano, secondo diverse stime, da 3,2 milioni a 9,7 milioni di chilometri quadrati, che corrispondono rispettivamente alle dimensioni dell’India o del Canada. Queste superfici equivalgono a una percentuale compresa tra il 23 e il 68 per cento della terra arabile nel mondo e, di conseguenza, è improbabile un utilizzo su larga scala della BECCS. In seguito al dimezzamento delle aree coltivabili, anche se si riusciranno a incrementare i rendimenti dei terreni agricoli questi progressi dovranno infatti servire a soddisfare i bisogni di una popolazione mondiale che si prevede in forte crescita.

Cattura mirata dell’aria
Tra le alternative alle NETs e alla BECCS alcune si servono di tecniche semplici come per esempio l’aratura poco profonda dei terreni che permette di accumulare anidride carbonica, mentre altre si basano su tecnologie più complesse che consentono di prelevare direttamente Co2 dall’atmosfera, oppure utilizzano metodi che stimolano l’accelerazione dei processi naturali di invecchiamento attraverso i quali i minerali che si trovano sulla crosta terrestre assorbono anidride carbonica. Un’altra possibilità è offerta dal trattamento del mare con composti alcalini che facilitano l’assimilazione di una maggiore quantità di anidride carbonica. Il sistema considerato potenzialmente più efficace dopo la BECCS è quello che si basa sulla cattura mirata dell’aria, ma ha attualmente dei costi eccessivamente elevati, superiori ai quelli già molto rilevanti della BECCS. Servono infatti grandi quantità di minerali di silicato (l’olivina, usata nelle saune finlandesi, è uno dei preferiti grazie alla sua resistenza ai bruschi passaggi di temperatura) che devono essere macinati finemente e distribuiti in modo uniforme sia sulla superficie terrestre sia su quella marina. Una difficile sfida non solo economica ma anche logistica.

Il problema dei costi
Anche le tecnologie più sostenibili come le NETs hanno la necessità di investimenti su larga scala che devono essere erogati in tempi rapidi. Gli alberi impiegano numerosi anni per raggiungere il loro potenziale ottimale di assorbimento di anidride carbonica e, di conseguenza, la loro piantumazione deve iniziare nel più breve tempo possibile. A differenza dei pannelli solari e fotovoltaici, in cui gli incentivi hanno portato a un numero molto elevato di richieste e quindi a un abbattimento dei costi di produzione che ne ha facilitato la diffusione su larga scala, la messa a dimora degli alberi richiede tempi molto più lunghi e offre vantaggi che non sono immediatamente quantificabili. Una tipologia NETs che potrà avere dei risultati interessanti è stata creata da Climeworks nei pressi del villaggio svizzero di Hinwilin. Sostenuta dal governo elvetico, dalla banca cantonale di Zurigo, dall’Unione europea e da alcune università, questa azienda si serve dell’energia termoelettrica e rinnovabile di un inceneritore della zona per assorbire l’anidride carbonica, che trasforma grazie a speciali filtri in fertilizzanti utilizzati nelle serre di un’impresa agroalimentare. Oltre all’uso di Co2 per scopi commerciali, sono da segnalare le ricerche della startup canadese Carbon Engineering (Bill Gates è tra i suoi sostenitori) che ha sviluppato un sistema per trasformare la Co2 in combustibile e, con la collaborazione di un’azienda canadese della British Columbia, per avere anidride carbonica purificata. Climeworks, insieme a industrie come Airbus e Volvo, pensa anche di servirsi dell’energia rinnovabile generata in eccesso da impianti solari ed eolici per ottenere idrogeno da sintetizzare con Co2 per carburanti che non inquinano. Si pensa inoltre di sostituire con i gas serra l’anidride carbonica per le bevande gassate proveniente da combustibili fossili con un impatto sull’ambiente vicino allo zero. È insomma iniziata una rivoluzione che può diventare uno strumento importante per contrastare il cambiamento climatico in cui le maggiori difficoltà sono i costi e i tempi di realizzazione. Per esempio, un impianto come quello di Climeworks, che ha l’obbiettivo di catturare l’uno per cento di anidride carbonica globale entro il 2025, riesce attualmente a riciclare novecento tonnellate di anidride carbonica all’anno. Secondo l’IPCC per sconfiggere il riscaldamento globale dovrebbero essere rimossi ogni anno almeno dieci miliardi di tonnellate di Co2.Un traguardo possibile ma non ancora a portata di mano.

 

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“Causa il cambiamento climatico in atto, i ghiacciai si stanno sfaldando a una velocità maggiore della neve che riescono ad accumulare”

“Il parlamento svedese ha approvato una legge all’avanguardia che obbliga il paese a non rilasciare ‘emissioni nette’ di gas entro il 2045”

“Per avere delle buone probabilità di riuscire a rimuovere i gas serra dall’aria si dovrà iniziare ad assorbire anidride carbonica già dal 2020”

“Oltre a sistemi che usano le piante si può utilizzare un metodo che all’energia da biomasse unisce la cattura e lo stoccaggio del carbonio”

“Tra le alternative alle NETs e alla BECCS alcune si servono dell’aratura poco profonda dei terreni, altre prelevano la Codall’atmosfera”

“È iniziata una rivoluzione tecnologica che può diventare uno strumento importante per contrastare il cambiamento climatico”

 

Josef Albers, Tierra Verde, 1940. Dalla mostra Joseph Albers in Mexico, Solomon R. Guggenheim Museum, New York. Courtesy The Josef and Anni Albers Foundation

 

 

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