La stampa si trova oggi in una situazione molto diversa da quella entrata nella mitologia del “quarto potere”, che ha avuto il suo apice negli anni Ottanta del Novecento e da ormai molto tempo assistiamo a un cambiamento radicale del mondo della comunicazione e dell’editoria. In Merchants of Truth. The Business of News and Fight for Facts (Mercanti di verità. Il business delle notizie e la lotta per i fatti, Simon & Schuster, pp. 546, 30 dollari, eBook 14,99 dollari) Jill Abramson, ex Executice Editor del New York Times, attraverso il confronto tra due giornali tradizionali che hanno affrontato con successo una profonda trasformazione come The New York Times e The Washington Post e due media di recente fondazione come BuzzFeed e Vice ci aiuta a comprendere la rivoluzione tecnologica e i mutamenti dal punto di vista economico e dei contenuti che contrappone nuovi e vecchi mezzi di comunicazione. Attraverso questa analisi Abramson si pone una domanda fondamentale, se ci troviamo cioè di fronte a una crisi di fiducia che minaccia non soltanto la libertà di espressione, ma anche i diritti fondamentali delle persone. Con l’avvento della nuova realtà digitale si è accentuato il declino, fino a diventare in certi casi irreversibile dei giornali tradizionali, connotati da un pubblico prevalentemente in età matura o avanzata e parallelamente sono emersi i nuovi colossi mediatici cui fanno soprattutto riferimento i millenial, che se da una parte hanno favorito lo sviluppo di energie e stimoli nuovi, dall’altra sono fonte di incertezza per la grande volubilità delle loro preferenze.
Autonomia editoriale
Abramson si sofferma in modo particolare su uno dei punti fondamentali della libertà di informazione, cioè sul rapporto tra scelte editoriali e condizionamenti della pubblicità e stigmatizza l’eccessiva disponibilità da parte di molti media tradizionali, in un momento di forte diminuzione della entrate pubblicitarie, nei confronti delle richieste degli inserzionisti in un contesto in cui Facebook, Twitter e Google oltre ad avere consentito la diffusione di molte fake news si sono assicurati la maggior parte dell’advertising. Una situazione difficile anche dal punto di vista etico, che ha minato la credibilità delle notizie e portato a un sensibile calo delle vendite, cui ha corrisposto la riduzione della pubblicità. In seguito a questo cortocircuito numerose redazioni sono state costrette alla chiusura e altre a un forte ridimensionamento, che dopo aver colpito i giornali tradizionali ha coinvolto anche quelli digitali. Per arginare questa deriva e invertire la rotta, Abramson suggerisce di mirare a un giornalismo di qualità e a una più ampia fidelizzazione dei lettori attraverso una maggiore diffusione degli abbonamenti. È quindi indispensabile garantire un’autonomia editoriale basata sulla correttezza dell’informazione e sull’indipendenza senza referenti in campo economico, politico e istituzionale.
Opinioni controcorrente
I lettori, che grazie alle numerose possibilità offerte dalla rete possono non solo informarsi ma anche approfondire e confrontarsi con altre opinioni, sono ormai abituati a un rapporto più diretto ed empatico con la fonte delle notizie rispetto alla stampa tradizionale, hanno alzato il livello delle aspettative e desiderano avere non solo risposte ma anche la possibilità di interagire con le redazioni. Sempre più persone ritengono inoltre che giornali e network televisivi, tranne rare eccezioni, non rappresentano più l’opinione pubblica, intesa come interesse generale, ma tendono a imporre le idee dei gruppi di potere che detengono la loro proprietà. Per avere un dialogo autentico con i lettori è quindi indispensabile, come suggeriscono alcune esperienze internazionali tra cui The Guardian rappresenta un caso esemplare, puntare sulla qualità delle notizie, su argomenti trattati da un punto di vista non convenzionale con analisi e opinioni controcorrente che consentono di rivelare verità scomode e nascoste, raccontare fatti ed eventi senza avere nessun pregiudizio culturale, religioso o ideologico e comunicare al lettore l’idea di attraversare un territorio libero, non soggetto a influenze di nessun tipo. The Guardian, fondato a Manchester nel 1821 e rilevato nel 1936 da una fondazione senza scopo di lucro, lo Scott Trust, che da allora ne ha sempre garantito l’indipendenza e assicurato l’autonomia finanziaria in modo da non consentire l’acquisizione da parte di altri gruppi che potrebbero minacciare la sua libertà, grazie alle idee del suo direttore Alan Rusbridger fin dal 1995 ha iniziato a investire sulla versione digitale del giornale, in seguito alla quale nel 2006 due terzi dei lettori si trovavano al di fuori del Regno unito. Nel 2007 è stata avviata una profonda trasformazione, definita da Rusbridger “the Great Integration” (la grande integrazione) tra le due redazioni dell’edizione cartacea e di quella digitale con la creazione di un’unica grande struttura giornalistica.
Non solo paywall
Nel 2011 Rusbridger ha deciso di attuare una strategia digital first con cui ha rivoluzionato l’organizzazione del giornale e definito una diversa gerarchia delle notizie che, contrariamente a quanto si faceva fino ad allora, dovevano essere anticipate sul web per poi riservare all’edizione cartacea l’approfondimento di quelle più importanti. The Guardian da giornale britannico di medie dimensioni è così diventato un brand internazionale che si è imposto all’attenzione dell’opinione pubblica per i suoi fondamentali articoli sul cambiamento climatico e per una serie di inchieste tra cui quella sui metodi illeciti utilizzati da News of the World, il giornale della News Corporation (il gruppo media di Rupert Murdoch) per avere notizie scottanti sui protagonisti del gossip, che ha portato alla sua chiusura. The Guardian ha consentito inoltre a Edward Snowden di pubblicare, con la collaborazione del giornalista Glenn Greenwald, numerosi documenti secretati sui programmi di intelligence e svelare così il sistema di sorveglianza di massa gestito dalla National Security Agency (NSA), uno degli organismi governativi degli Stati uniti che si occupano della sicurezza nazionale, con cui nel 2014 ha vinto il suo primo premio Pulitzer insieme al Washington Post. Dato che l’informazione di qualità ha dei costi molto elevati, dopo l’uscita dal giornale di Rusbridger e la nomina nel 2015 alla direzione di Katharine Viner, The Guardian, diversamente dal New York Times che ha puntato con successo sugli abbonamenti e sul paywall (sistema che consente l’accesso ad alcuni articoli solo a pagamento) ha deciso di lasciare l’accesso libero al sito web per non bloccare la diffusione del giornale e non contraddire la sua filosofia di libera condivisione dei contenuti, ma di chiedere un contributo volontario ai lettori. L’iniziativa ha avuto un esito positivo, gli introiti delle sottoscrizioni superano quelli della pubblicità e il giornale è tornato dopo molti anni in utile.
Il prezzo della verità
Anche ProPubblica, organizzazione no profit che sostiene il giornalismo investigativo e De Correspondent, il sito olandese di news nato grazie a un finanziamento crowdfunding che ha da poco aperto una nuova redazione negli Stati uniti seguono il modello di The Guardian, ma la maggior parte dei media di tutto il mondo si basa ancora sugli schemi tradizionali e, con l’eccezione del Giappone dove i quotidiani hanno un tasso di diffusione simile a quella dei servizi pubblici di circa una copia per famiglia grazie a una capillare distribuzione “porta a porta”, si trova coinvolta in una crisi che rispecchia quella sociale e culturale in cui siamo immersi e sembra non avere fine (negli Stati uniti negli ultimi quindici anni hanno chiuso circa milleottocento testate con un grave danno per la democrazia). Sollecitata dalla crescente diffusione delle news online, che si caratterizzano per immediatezza, interattività, capacità di raggiungere gli utenti su scala globale, cui si aggiunge la possibilità di arricchirle con video, blog ed eventi trasmessi in streaming, l’editoria tradizionale per non perdere ulteriore consenso cerca di inseguire i gusti e i desideri del pubblico molto influenzato dall’uso dei social media. Molti giornali si servono inoltre sempre più spesso dei loro brand per realizzare prodotti collaterali, organizzare eventi, corsi, viaggi, ma con queste iniziative difficilmente riescono ad accrescere il numero dei lettori mentre mettono a rischio la loro autorevolezza e la capacità di analizzare fatti e tendenze in un momento in cui è sempre più labile e sottile il confine fra notizie vere e manipolate. Sia il sistema fondato su contributi volontari sia quello basato sugli abbonamenti con paywall hanno quindi il merito di diminuire i condizionamenti della pubblicità e di mettere i fatti e i commenti al centro delle loro politiche editoriali. Si pongono così come modelli possibili in un futuro meno problematico per giornali e giornalisti.
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“Il pubblico è ormai abituato ad avere un rapporto diretto ed empatico con le fonti delle notizie e ha alzato il livello delle aspettative”
“Per superare la crisi è indispensabile garantire la correttezza delle informazioni e non avere referenti in campo economico e politico”
“Un numero sempre maggiore di persone ritiene che molti giornali e network tv non rappresentano più l’opinione pubblica intesa come interesse generale”
“L’idea di considerare i giornali un brand con cui organizzare eventi, corsi o viaggi rischia di metterne a rischio l’indipendenza e l’autorevolezza”
“Dato che l’informazione di qualità ha dei costi molto elevati alcuni giornali hanno iniziato a chiedere un contributo direttamente ai lettori”
“Oltre al metodo basato sulle donazioni, anche il sistema fondato sugli abbonamenti si pone come modello per un giornalismo libero e autorevole”
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LA CRISI DELL’INFORMAZIONE MINACCIA LA DEMOCRAZIA?
I gravi problemi del mondo dell’editoria possono compromettere le regole della convivenza e mettere a rischio i diritti nel nostro paese
Prima la tv poi internet hanno cambiato le abitudini di fruizione delle notizie e hanno assorbito la maggior parte dei budget pubblicitari. Negli ultimi anni si è verificato nel nostro paese un calo molto forte, a volte drammatico delle copie vendute, comprese quelle digitalizzate, di giornali e magazine. Secondo i dati Ads, la società che si occupa di certificare i dati di tiratura e diffusione comunicati dagli editori di quotidiani e periodici, negli ultimi dieci anni (dal 2008 al 2018) le copie vendute dei quotidiani sono diminuite mediamente di più della metà. Solo le testate locali hanno ottenuto risultati leggermente migliori con un calo inferiore al cinquanta per cento. A causa dei minori ricavi, le aziende editoriali per ridurre i costi invece di investire sulla ricerca e offrire dei prodotti migliori dal punto di vista dei contenuti sono ricorse soprattutto alle armi molto spesso improprie degli stati di crisi e dei licenziamenti che hanno aggravato ancora di più i loro problemi e causato una perdita di autorevolezza cui è seguito un ulteriore calo di copie e di pubblicità in una spirale che pare non avere fine. Ma questa crisi della stampa e dell’informazione non rappresenta solo un problema per case le editrici e i giornalisti, ma a causa della sua influenza negativa a livello sociale e culturale può causare danni irreparabili alla democrazia. Come ci ricorda il grande economista e secondo presidente della Repubblica Luigi Einaudi in una delle sue più famose Prediche inutili, in una democrazia prima di deliberare è necessario conoscere e discutere la materia di cui ci si occupa. Da questa semplice ma fondamentale affermazione si può facilmente comprendere come diminuire fino talvolta negare la possibilità di accedere a un’informazione libera e autorevole costituisce una minaccia molto forte per la tenuta dei principi democratici, perché i cittadini vengono limitati o privati di uno dei contropoteri indispensabili per avere la consapevolezza delle proprie decisioni e alimentare le radici della convivenza.