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Televisione vs. internet, chi vincerà?

Da alcuni anni stiamo assistendo a un cambiamento radicale del mondo della comunicazione. Secondo numerosi esperti, l’evoluzione digitale che ha trasformato l’industria della musica negli ultimi vent’anni anticipa il futuro dei media tradizionali. Nel campo musicale si è passati dal modello di business basato sui cd alla vendita di singoli brani attraverso digital store come iTunes, o a servizi di streaming on demand come Spotify, Deezer o iMusic. Nel settore dei libri, Amazon ha lanciato negli Usa Kindle Unlimited, in Europa Youboox, Skoobe o Bookolico in Italia forniscono servizi che consentono di leggere un numero illimitato di libri compresi in un catalogo a fronte di un abbonamento mensile, o in cambio di pubblicità. Stessa cosa per quotidiani e periodici con operatori come Readly in Gran Bretagna o Edicola Italiana nel nostro paese. Di conseguenza, giornali e magazine vendono un numero sempre più ridotto di copie e raccolgono meno pubblicità, solo in parte compensate dall’aumento di profitti dei loro siti online. Contemporaneamente, si registra una ripida discesa della vendita di cd che ha portato un forte calo di utili all’industria discografica. Questo modello, basato su fee pagati al povider ogni volta che il suo contenuto viene usufruito da un utente, avrebbe dovuto coinvolgere anche i network della tv, ma nonostante la tecnologia antiquata, i problemi di audience e l’avvento di numerosi sevizi in streaming come Netflix, Skyonline o Apple tv, la televisione “dinosauro” continua ad avere elevati profitti, in misura variabile a seconda dei diversi paesi.

Il miraggio del digitale
In Television Is The New Television. The Unexpected Triumph of Old Media in the Digital Age  (Penguin/Portfolio, pp. 212, 26,95 dollari, eBook 11,99 dollari) Michael Wolff, uno dei maggiori studiosi di comunicazione degli Stati uniti, ci aiuta a capire perché il business televisivo è riuscito a evitare finora le difficoltà degli altri media tradizionali. “For sixty years, television, given massive generational, behavioral, and technological shifts has managed to change… not so much” (Per sessant’anni la televisione è riuscita a stare al passo con i profondi cambiamenti generazionali, tecnologici e di comportamento… ma fino a un certo punto) ha affermato. Per Wolff la resistenza della tv alla rivoluzione digitale non ha niente di eroico, ma giudica in modo positivo la sua capacità di difendere in modo tradizionale i propri profitti a differenza della carta stampata, che per inseguire i new media ha solo accelerato il proprio declino e cita come esempio la scelta di The New York Times di trascurare l’edizione cartacea, che contribuisce per l’80 per cento ai suoi ricavi, a favore delle edizioni online che portano utili molto inferiori. Il “modello Spotify” è infatti particolarmente vantaggioso in campo musicale perché se una canzone di successo può essere ascoltata numerose volte, lo stesso non accade nei confronti di un libro, di un articolo di giornale, di un film o di una serie tv, che generalmente vengono letti o visti una volta sola, con il rischio molto concreto di seguire un modello di sviluppo che premia la quantità e la distribuzione di massa e assegna un grande potere alla piattaforma di aggregazione, l’unica a beneficiare di una situazione di mercato in continua contrazione.

L’importanza dei contenuti video
Per Wolff uno dei vantaggi della tv vecchio stile di buona qualità è quella di proporre al pubblico storie con un inizio, una parte centrale e una fine capaci di trasmettere profonde emozioni e di offrire alla pubblicità una base sicura su cui investire, mentre la digital overabundance offerta dal web crea una visione frammentata, che non favorisce la fidelizzazione del consumatore. Wolff afferma inoltre che ancora oggi la maggior parte delle persone passa più tempo a guardare la tv che a navigare sul web, dove i contenuti più cliccati sono proprio i programmi televisivi. E aggiunge che, paradossalmente, in un momento storico in cui si proclama che il futuro sarà solo digitale, stiamo assistendo a uno dei maggiori periodi di crescita della storia della tv. È la televisione quindi e non i media digitali l’esempio vincente di business per il futuro, anche perché i suoi prodotti non vivono solo di traffico, ma possono contare su una serie di diritti che dalla tv generalista passano a quella via cavo, satellite e on line. La creazione di contenuti video per l’entertainment è infatti così redditizia, precisa Wolff, che molti dei principali digital media, con continui problemi nella definizione delle tariffe in base alle oscillazioni del traffico sul web, si stanno aprendo a questo tipo di produzioni. Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, ha recentemente affermato che il futuro della sua compagnia saranno i video e il sito di social news e entertainment BuzzFeed ha annunciato di voler creare un nuovo network tv insieme all’Huffington Post.

Nuovi modelli di consumo
In Over the Top: How the Internet Is (Slowly but Surely) Changing the Television Industry (Independent-Publishing Platform, pp. 166, 12.95 dollari, eBook 7,51 dollari) Alan Wolk, esperto di tv e new media, traccia un futuro diverso per la televisione rispetto a quello descritto da Wolff e ritiene che il settore sia alla vigilia di profonde trasformazioni che segneranno la preminenza dei nuovi modelli di comunicazione. In un settore dove i maggiori player continuano ad avere profitti molto elevati, nessuno ha interesse a fare scelte troppo radicali che possano modificare gli attuali assetti di mercato, ma questo non può evitare la formazione di correnti, ancora frammentarie, che porteranno a equilibri diversi. Anche se, come afferma Wolff “il mondo è seduto davanti alla televisione”, mese dopo mese ci troviamo di fronte a una tv in continuo cambiamento. Crescono sia il numero dei video in streaming sia i programmi da vedere dove e quando si vuole senza interruzioni pubblicitarie. Di conseguenza, tranne che per gli eventi sportivi e i dibattiti politici più importanti, il pubblico della tv generalista si sta riducendo rapidamente, soprattutto nella fascia di età fra i 15 e i 35 anni, che passa molto più tempo sui social media che davanti allo schermo televisivo, con prospettive finanziarie preoccupanti per i network tradizionali. E proprio la possibilità di accedere a questi nuove tipologie di consumo sta favorendo gli investimenti nel settore video da parte di imprese non convenzionali come Facebook e BuzzFeed. Anche perché, secondo la società di ricerca Forrester, negli Stati uniti la pubblicità digitale sorpasserà quella televisiva già da quest’anno.

Un esperimento di successo
Wolk cita come esempio emblematico della trasformazione dei contenuti televisivi Lilyhammer la serie noir creata da Netflix nel 2012, basata sulla figura del boss mafioso Frank Tagliano, che dopo aver collaborato con la polizia non può più rimanere a New York e decide di rifugiarsi in Norvegia, dove trova un mondo completamente diverso da quello che aveva immaginato. Dopo più di sei mesi di programmazione, al ventiduesimo episodio, gli autori hanno deciso di dare un seguito alla storia, introducendo nuovi personaggi o sopprimendone altri, in base alle reazioni e alle indicazioni dell’audience. Un esperimento di successo che ha cambiato in modo definitivo lo storytelling della tv d’autore. Ma questi nuovi modelli di produzione, distribuzione e consumo rappresentano una continuità o una frattura nella evoluzione del mezzo televisivo? Da una parte, Wolff mantiene il pregiudizio nei confronti dei new media e afferma che tutti questi cambiamenti sono la prova della forza e della durata della televisione perché le innovazioni che non danno profitti immediati sono destinate a essere riassorbite dagli old media. Per Wolff, infatti, seguire la tv su un laptop con connessione wifi o sfogliare un quotidiano su Facebook significa semplicemente vedere la televisione o leggere un giornale ed è quindi una prova ulteriore della supremazia dei mezzi tradizionali. Dall’altra, Wolk afferma invece che questi cambiamenti di segno indicano un mutamento profondo nella scala dei valori e confermano la presa di potere in atto dei media di nuova generazione. Il dibattito è aperto e il finale resta ancora da scrivere.

 


 

“A differenza della carta stampata, la tv è riuscita a difendere e migliorare i propri profitti seguendo l’esempio di business tradizionale”

“In questo periodo si proclama che il futuro sarà solo digitale, ma stiamo assistendo a uno dei maggiori momenti di crescita della storia della tv”

“Il ‘modello Spotify’ è soprattutto vantaggioso in campo musicale perché una canzone di successo può essere ascoltata numerose volte”

“Mese dopo mese cresce il numero dei video in streaming e i programmi da vedere dove e quando si vuole senza interruzioni pubblicitarie”

“Tranne che per gli eventi sportivi e i dibattiti politici, il pubblico tradizionale si sta riducendo rapidamente, soprattutto tra i 15 e i 35 anni”

“Le nuove tipologie di produzione, distribuzione e consumo rappresentano una continuità o una frattura nella evoluzione del mezzo televisivo?”

 


 

Le insidie di un mondo sempre connesso
Programmi, siti web e app richiedono quantità sempre maggiori di energia che potrebbero provocare un collasso del sistema

Connettività è la parola d’ordine del XXI secolo. Aziende e piattaforme on line ci aiutano a risolvere molti problemi della vita quotidiana e, contemporaneamente, monopolizzano il nostro tempo libero con social network , game o video on demand. Il cuore di questo mondo digitale, il posto dove confluiscono tutte le informazioni sono i data center, le unità organizzative che definiscono le tecnologie e coordinano i servizi di gestione dei dati. Nei prossimi anni i data center dovranno affrontare sfide sempre più impegnative per riuscire a controllare lo sviluppo inarrestabile delle richieste di aziende e consumatori. Mentre noi cerchiamo un’informazione su Google, archiviamo dei file sul cloud, ci colleghiamo a un sito di news, facciamo una transazione finanziaria, scarichiamo un video da Youtube o Vimeo, scambiamo opinioni su Twitter, dialoghiamo con gli amici su Facebook, o prenotiamo la prossima vacanza con Airbnb, milioni di persone nel mondo stanno compiendo le stesse operazioni. Internet è simile a un’autostrada e mentre noi ci rechiamo dal casello A al casello B in attesa della risposta alle nostre domande, i data center sono al lavoro per ottenere le informazioni desiderate. Senza di loro non avremmo più una meta e le nostre ricerche resterebbero inevase. Come ha osservato Theophilus Benson, professore di computer science alla Duke University nella Carolina del Nord: “Gli utenti finali, devono solo addormentarsi e svegliarsi alla destinazione finale. Noi non osserviamo nessuna delle strade a pedaggio, non vediamo l’autista fermarsi in una stazione di servizio per fare benzina e non comprendiamo come funzionano i meccanismi interni”. Non ci rendiamo conto di come opera internet, ma ci preoccupiamo quando le nostre app o i nostri siti di riferimento non ci offrono le performance cui siamo abituati, o addirittura si bloccano, come quando ci troviamo in mezzo al traffico in un’ora di punta. La capacità dei data center di gestire i picchi di attività o i momenti di pausa si basa soprattutto sulla duttilità dei server, che per poter agire in modo adeguato devono essere mantenuti in condizioni di temperatura e umidità ottimali e richiedono quantità sempre più elevate di energia. Per limitare questi problemi ed evitare un collasso del sistema, si cerca di rendere più sostenibili i consumi, attraverso la progettazione di nuovi data center con strutture a basso impatto ambientale alimentate da energie rinnovabili.

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Anri Sala, Answer Me, installazione, 2008. Dalla mostra al New Museum di New York.

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