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Evoluzione digitale vs transizione ecologica

I grandi cambiamenti climatici in atto ci impongono di abbandonare le vecchie fonti energetiche inquinanti come il carbone e il petrolio. Quasi ogni giorno gli scienziati, i media e i politici più attenti ai problemi ambientali ci chiedono di fare delle scelte diverse da quelle abituali e di assumere dei comportamenti che possano favorire la transizione ecologica, indispensabile per non compromettere il futuro della Terra e dell’umanità. Contemporaneamente, siamo avvolti da una rete di collegamenti informatici in costante espansione e dall’internet delle cose, il network di oggetti capaci di collegarsi al web e di comunicare tra loro, che in modo sempre più penetrante ci offrono numerosi servizi e, allo stesso tempo, condizionano le nostre azioni, il nostro modo di pensare e mettono a rischio la nostra privacy. Ma questa ultima frontiera della tecnologia è davvero non inquinante e priva di conseguenze sfavorevoli per l’habitat come viene affermato o nasconde delle insidie di cui ancora non comprendiamo i possibili effetti negativi? Evoluzione digitale e transizione ecologica possono essere alleati o sono invece nemici inconciliabili? Cerchiamo di capire come stanno davvero le cose con l’aiuto del libro Pour une écologie numérique (Les Petits Matins in coedizione con L’Institut Veblen, pp. 128, 14 euro) dell’esperto francese di problemi energetici Eric Vidalenc.

Consumi energetici elevati
Con l’uso dei formati digitali, la dematerializzazione dei documenti evita il consumo di molte materie prime tra cui la carta e riduce l’utilizzo dei mezzi di trasporto con tutte le conseguenze sfavorevoli per l’ambiente dovute al consumo energetico e all’inquinamento. Grazie all’internet delle cose e alle connessioni “intelligenti” tra i diversi oggetti e gli elettrodomestici nelle nostre case e nei luoghi di lavoro possiamo inoltre definire e regolare in modo ottimale le nostre esigenze per quanto riguarda i consumi di elettricità, riscaldamento o climatizzazione. Quando si fanno queste considerazioni non si considera però quasi mai l’altra faccia della medaglia, cioè la dimensione nascosta dei consumi energetici indispensabili per lo sviluppo delle tecnologie digitali, come le infrastrutture per lo sviluppo della rete, i grandi centri di elaborazione che coordinano e mantengono le installazioni informatiche e i servizi di gestione dei dati, spesso fonti di inquinamento atmosferico. Per poter operare si servono di una quantità di energia elettrica paragonabile a quella di una città di piccole-medie dimensioni e utilizzano metalli e minerali rari e preziosi come il cobalto e il coltan, che si estraggono soprattutto dalle miniere della Repubblica democratica del Congo controllate dai “signori della guerra”, i quali hanno il dominio militare e civile del territorio e si servono del lavoro minorile in condizioni di schiavitù.

Scarsità d’acqua e conflitti
Al cobalto e al coltan bisogna aggiungere il litio, elemento indispensabile per le batterie di smartphone, tablet, computer e auto elettriche, che si trova in diversi paesi come l’Australia, Cile, Cina, Argentina, Bolivia, Zimbawe, Portogallo, Brasile, Namibia e Stati uniti. Se l’Australia produce il quaranta per cento di questo metallo, nel triangolo sudamericano tra Argentina, Bolivia e Cile se ne estrae circa il cinquanta per cento con gravi problemi per l’ecosistema e la sussistenza delle comunità locali su cui si riversano le conseguenze ambientali delle miniere che richiedono enormi quantità di acqua. È necessario poi considerare la rapida obsolescenza degli oggetti che si servono delle tecnologie digitali e l’aumento quasi senza limiti dei consumi indotti dalla loro diffusione. Il GIEC, gruppo intergovernativo dell’Organizzazione delle nazioni unite sul cambiamento climatico che ha lo scopo di valutare gli effetti del riscaldamento globale, in uno studio pubblicato l’8 ottobre 2018 ha affermato che per contenere l’innalzamento medio della temperatura entro il limite di un grado e mezzo, come previsto dall’accordo del clima di Parigi del 2015, le emissioni nette di COdovranno essere nulle nel 2050 e quelle degli altri gas serra ridotte in modo considerevole. Il PNUE, il programma dell’Onu per l’ambiente ha presentato nel marzo 2019 un rapporto di un gruppo di scienziati e docenti universitari in cui si dichiara che l’estrazione di risorse di minerali, combustibili fossili, biomasse e acqua è più che triplicata a partire dal 1970. L’uso dei metalli nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) per la ricezione, trasmissione ed elaborazione di dati e informazioni digitali è in continua ascesa. Se nel 1980 se ne utilizzavano una decina, attualmente secondo l’OPESCT (l’ufficio del Parlamento francese di valutazione delle scelte scientifiche e tecnologiche) il loro numero è cresciuto a più di sessanta. L’UNEP, il programma delle Nazioni unite per l’ambiente e la sostenibilità delle risorse naturali, ha verificato tra il 2000 e il 2015 un incremento molto intenso dei minerali metallici, la cui estrazione richiede l’utilizzo di ingenti quantità di energie fossili e di acqua e corrisponde a circa il dieci per cento dell’energia primaria mondiale. Numerose ricerche tra cui http://www.stephennorthey.net/portfolio/water-footprint-mining-limitations-opportunities/ hanno inoltre stabilito la connessione in tutti i continenti tra conflitti e scarsità d’acqua dovuta allo sviluppo dell’estrazione e alla lavorazione dei metalli.

Sempre più materie prime
Un sistema produttivo che favorisce quindi l’aridità del suolo e porta alla perdita del novanta per cento della biodiversità. Il World Resources Institute, organizzazione mondiale no profit che si occupa di cibo, foreste, acqua, energia, città e clima ha calcolato che più di un miliardo di persone vivono sotto stress idrico, quando cioè le piante non sono più in grado di assorbire una quantità d’acqua sufficiente a sostituire quella persa per traspirazione. Nel 2025, tra meno di cinque anni, questo problema, che si presenta anche in alcune zone italiane, potrebbe riguardare tre miliardi e mezzo di esseri umani. La domanda di materie prime per l’industria elettronica continua a crescere, la delocalizzazione delle produzioni ha portato al crollo dei prezzi e favorito un aumento esponenziale delle vendite. Se meno di vent’anni fa in una famiglia media si trovava un solo computer, oggi oltre al PC, ci sono smartphone, tablet, box e console con sempre maggiori funzioni. Il loro tempo di utilizzo si riduce costantemente ed è ormai al di sotto di due anni, spinto da ossessive campagne di marketing che ne fanno degli status symbol e da un sistema di consumo che li rende presto obsoleti perché gli elevati costi di riparazione fanno preferire la loro sostituzione.

Cresce l’impronta energetica
La difficoltà e spesso l’impossibilità di riciclare metalli come indio, gallio, tantalio e le terre rare aumenta la necessità, particolarmente negativa per quanto riguarda la salvaguardia dei diritti umani e dell’ambiente, di sfruttare al massimo le riserve esistenti e di cercare sempre nuove fonti di approvvigionamento. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ormai presenti in tutti i settori di attività, dagli elettrodomestici all’industria dell’auto, dalla televisione alla medicina, senza dimenticare l’agricoltura, l’educazione, la finanza, il commercio, i trasporti, il turismo e gli apparati amministrativi e burocratici dello stato, utilizzano percentuali significative della produzione mondiale dei metalli. Circa l’ottanta per cento del consumo di indio è per esempio causato da suo impiego nella realizzazione di schermi per l’industria informatica e della tv. È importante inoltre ricordare che per abbassare l’impronta energetica delle tecnologie digitali, cioè dei chilogrammi di CO2 immessi nell’atmosfera, bisognerebbe raggiungere l’obiettivo dell’otto per cento nel 2025, mentre tra il 2000 e il 2015 gli effetti causati dall’estrazione e dall’utilizzo dei metalli rari sui mutamenti climatici è quasi raddoppiato.

Verso prodotti durevoli
Le tecnologie digitali e dell’informazione si servono di un numero molto significativo di risorse energetiche (processi di estrazione, fabbricazione, trasporto e uso), materiali (metalli, plastiche, vetro), chimiche per il trattamento dei materiali e idriche nella lavorazione e assemblaggio dei componenti. Da una tonnellata di minerale si ottengono, per esempio, solo pochi grammi di metallo raro cui bisogna aggiungere gli effetti estremamente tossici degli esplosivi utilizzati per la loro estrazione e l’impatto negativo sull’ambiente provocato dal loro smaltimento. Bisogna poi ricordare che nonostante sia possibile riciclare il novanta per cento di metalli come l’alluminio, l’oro, l’argento e, in misura minore, il rame, il continuo aumento della domanda di prodotti dell’industria digitale riduce in modo considerevole gli effetti positivi del loro riutilizzo per la salvaguardia dell’habitat e della biodiversità. A differenza di chi afferma che l’evoluzione digitale e la transizione ecologica sono complementari e di chi, all’opposto, ritiene che siano due processi inconciliabili, Eric Vidalenc si pone in posizione dialettica e suggerisce alcune vie d’uscita. Dato che l’uso delle tecnologie digitali non è eliminabile, è fondamentale limitare le conseguenze negative del loro utilizzo su sempre più larga scala. Dopo aver auspicato un utilizzo consapevole da parte dei consumatori e l’attuazione di politiche che favoriscano una maggiore conoscenza di fenomeni così complessi in un settore come quello delle TIC in cui è indispensabile agire in maniera integrata, Vidalenc afferma che bisognerà porre dei limiti stringenti agli oggetti non durevoli, riparabili e riciclabili con leggi contro l’obsolescenza e l’applicazione di una tassa proporzionale al loro impatto ambientale, mentre a livello industriale si dovrà puntare su prodotti di qualità facilmente riparabili con costi sostenibili che rendano preferibile la manutenzione rispetto alla sostituzione e che alla fine del loro uso possano alimentare l’economia circolare. Da un punto di vista globale è urgente limitare in modo significativo lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili e favorire la salvaguardia e l’incremento delle aree forestali in modo da incrementare l’assorbimento di CO2 anche grazie a investimenti finanziari orientati verso il sostegno delle fonti rinnovabili e la messa all’indice delle attività nocive all’ambiente. Ci attende quindi un futuro in cui molto dovrà essere ripensato, riorganizzato e riprogettato.

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“I grandi centri di elaborazione dei dati si servono di una quantità di energia elettrica elevata, simile a quella di una città di medie dimensioni”

“Per l’estrazione dei metalli rari che si trovano nei nostri device, i ‘signori della guerra’ si servono di minori in condizioni di schiavitù”

“Lo sfruttamento delle miniere richiede enormi quantità d’acqua e causa gravi problemi all’ecosistema e alla sussistenza delle comunità locali”

“Da una tonnellata di minerale si ottengono solo pochi grammi di metallo raro con effetti tossici sull’ambiente per il loro smaltimento”

“In un rapporto presentato dall’Onu per l’ambiente si afferma che dal 1970 è triplicato l’uso di risorse naturali nelle tecnologie dell’informazione”

“Bisogna porre dei limiti ai prodotti non durevoli, riparabili e riciclabili con leggi contro l’obsolescenza e una tassa sull’impatto ambientale”

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Li Quing, Rear Windows, 2019. Dalla mostra a Prada Rong Zhai, Shanghai, 2019-20.


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