La filosofia su cui si è basata l’età dell’informazione, nata negli anni ‘70 del Novecento con l’inizio della diffusione su larga scala del personal computer, è stata la possibilità di trasferire un numero sempre maggiore di informazioni in modo libero e veloce. Alla fine dello scorso anno Intel, la più grande multinazionale produttrice di dispositivi di memoria, circuiti di supporto alle telecomunicazioni e alle applicazioni informatiche, ha lanciato il primo microprocessore sotto forma di circuito integrato contenente 2300 piccolissimi transistor, ognuno delle dimensioni di un globulo rosso, che segna il punto di arrivo di un’espansione proseguita senza soluzione di continuità, ma il lungo periodo definito dal costante miglioramento dell’hardware si avvia alla conclusione. Come aveva previsto Gordon Moore, l’imprenditore informatico statunitense cofondatore di Intel, dalla metà degli anni ‘60 del secolo scorso le dimensioni dei chip, cioè dei processori che consentono il funzionamento di dispositivi di ogni tipo dal computer allo smartphone, sono costantemente diminuite. Secondo la prima legge di Moore, la complessità di un microcircuito, misurata attraverso il numero di transistor per chip raddoppia infatti ogni 18 mesi. Un progresso esponenziale difficile da mettere in relazione con il mondo fisico. Per fare due esempi, se le auto e i grattacieli avessero avuto lo stesso sviluppo, le macchine potrebbero raggiungere la velocità di un decimo di quella della luce e l’edificio più alto arriverebbe a metà della distanza tra la terra e la luna.
La fine della legge di Moore
Come ha scritto M. Mitchell Waldrop sull’autorevole rivista britannica Nature nell’articolo The chips are down for Moore’s law la legge di Moore è arrivata al capolinea. Giudizio confermato dalla Semiconductor Industry Association (SIA), che raccoglie le principali aziende produttrici di chip degli Stati uniti e insieme ad altre associazioni pubblica l’International Technology Roadmap for Semiconductors. Negli ultimi anni è apparso infatti sempre più evidente che la miniaturizzazione estrema dei circuiti elettronici e gli elevati costi della ricerca a essa associati hanno portato al rallentamento della crescita esponenziale della potenza dei chip e del numero dei transistor, anche a causa del calore molto elevato che si produce all’interno dei microprocessori. Si tratta di un passaggio storico per i produttori di hardware, che darà la possibilità di sviluppare quello che viene definito l’Internet of Things (internet delle cose), cioè la capacità di avere oggetti che dialogano tra loro svolgendo compiti di vario tipo.
La velocità non è più fondamentale
Ogni giorno miliardi di persone usano smartphone, tablet, personal computer e smart watch per navigare su internet, informarsi, lavorare, giocare e guardare contenuti in streaming. Tutte operazioni che, nella maggior parte dei casi non richiedono processori particolarmente potenti. Una tendenza accentuata dalle tecnologie cloud, le quali richiedono grande potenza di calcolo non da parte dei singoli dispositivi elettronici ma dai server dei grandi data center, i quali non hanno generalmente la necessità di una miniaturizzazione sempre più accentuata dell’hardware, come invece prevede la legge di Moore, che non è mai stata una vera e propria legge fisica ma una profezia che si è avverata. Il superamento di questa legge fondamentale per lo sviluppo dei primi cinquant’anni dell’evoluzione informatica (in futuro la potenza di calcolo raddoppierà ogni due anni e mezzo) renderà il livello di progresso tecnologico nel prossimo futuro meno prevedibile e il percorso per raggiungerlo più tortuoso. Ma dato che la maggior parte delle persone giudica la qualità dei propri dispositivi elettronici più sulla disponibilità di nuove funzionalità che sulla velocità di elaborazione, non valuterà in modo negativo il rallentamento delle prestazioni. Parallelamente, la fine della legge di Moore dà alle aziende la possibilità di aggiornare meno frequentemente i computer e di compensare la minore velocità dei sistemi operativi con l’accesso alle funzionalità del cloud computing. Di conseguenza, per garantire collegamenti veloci e sicuri aumenterà la necessità di avere una banda larga affidabile. Chi non potrà avvalersi di questa risorsa fondamentale farà sempre maggiore riferimento a cloud provider come Google, Amazon, Microsoft, Alibaba, Baidu e Tencent, che stanno sviluppando costantemente le proprie infrastrutture con la creazione o l’assimilazione di startup innovative per la ricerca e l’elaborazione di piattaforme tecnologiche avanzate. Se per mezzo secolo la miniaturizzazione dei transistor che sembrava non doversi mai arrestare è stata la linea guida dello sviluppo, ora si punta principalmente sulla creazione di dispositivi elettronici più capaci ed economici in numerosi e diversi campi di applicazione.
Un nuovo ordine mondiale
In Pax Technica:How Internet of Things May Set Us Free or Lock Us Up (Yale University Press, pp. 352, 28 dollari, eBook 19,47 dollari) Philip N. Howard, sociologo canadese docente alla Oxford University, esperto di comunicazione politica e in particolare dell’influenza delle tecnologie dell’informazione sulla democrazia e sulla creazione delle disuguaglianze sociali pone domande sul futuro dell’Internet of Things e si chiede se sarà uno strumento di libertà o, al contrario, di sorveglianza e censura. Vivremo all’interno di una fitta e invisibile rete di oggetti di uso quotidiano che comunicano tra loro come robot, auto che si guidano da sole e ci consentono di essere sempre connessi, occhiali interattivi collegati con siti web, notizie online, social network, visualizzazione di mappe, sensori intelligenti che ci permetteranno di avere sotto controllo e di poter interagire con tutte le funzionalità delle nostre abitazioni. Secondo Howard da questa grande trasformazione delle tecnologie che ci circondano sta emergendo un nuovo ordine mondiale, che definisce “Pax Technica”. Intravede cioè un futuro di stabilità globale costruita su un grande network di dispositivi, che se usati in modo intelligente e corretto potranno responsabilizzare le persone e rendere più trasparenti i governi. Ma Howard ci avverte anche delle insidie di questo universo tecnologico. Sulla base di evidenze riscontrate in diverse parti del mondo ci mostra con numerosi esempi che l’internet delle cose può essere usato anche per controllare e reprimere le libertà personali. Occorre quindi un grande impegno da parte di tutti, governi, imprese e cittadini per consentire la costruzione di uno spazio informatico trasparente e di una società più aperta.
La rete della sorveglianza tecnologica
I pericoli delle reti virtuali in cui siamo immersi e da cui veniamo continuamente sollecitati a interagire vengono analizzati da Bernard E. Harcourt, docente di diritto alla Columbia University e direttore del dipartimento di scienze sociali alla École des hautes études di Parigi nel libro Exposed: Desire and Disobedience in the Digital Age (Harvard University Press, pp. 384, 35 dollari, eBook 25,48 euro). Viviamo in quella che Harcourt definisce una expository society, una società basata sull’apparenza in cui veniamo invitati a metterci in vetrina e dove la privacy non è più un valore. Un universo dove, precisa Harcourt “all the formerly coercive surveillance technology is now woven into the very fabric of our pleasure and fantasies” (tutte le forme coercitive di sorveglianza tecnologica sono ora intrecciate indissolubilmente ai nostri piaceri e alle nostre fantasie). Sfruttando il nostro desiderio di poter accedere a ogni tipo di informazione e creare nuove relazioni, attraverso i dati ricavati dai social media e dalle navigazioni su internet le grandi multinazionali del web come Apple, Google, Amazon e Microsoft e le agenzie di intelligence creano dossier in cui oltre ai profili anagrafici, vengono specificate idee, abitudini e preferenze di consumo, spezzando i confini tradizionali tra stato, mercato e sfera privata. Invece di preoccuparci cediamo troppo spesso alle lusinghe di poterci esporre al giudizio e all’approvazione degli altri trascurando le esigenze di anonimato ma, avverte Harcourt, siamo arrivati alla resa dei conti. Se non vogliamo restare intrappolati nella rete, dobbiamo contravvenire a questo sistema e sperimentare con convinzione e coraggio nuove strategie che salvaguardino la nostra vita.
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“Se i grattacieli avessero avuto lo stesso sviluppo dei microcircuiti, l’edificio più alto arriverebbe a metà della distanza tra la terra e la luna”
“Gli elevati costi della ricerca associati alla miniaturizzazione dei circuiti elettronici hanno portato al rallentamento della crescita dei chip”
“La nuova frontiera dell’era digitale è l’‘internet delle cose’, cioè la possibilità di avere oggetti che dialogano tra loro svolgendo diverse operazioni”
“Per garantire collegamenti veloci e sicuri aumenterà la necessità di essere collegati alla banda larga o con ‘cloud provider’ affidabili”
“Il sociologo Philip N. Howard intravede una ‘Pax Technica’, un futuro di stabilità globale, ma ci avverte delle insidie del nuovo universo tecnologico”
“Attraverso internet e social media le multinazionali del web e le agenzie di intelligence conoscono le nostre idee, abitudini e preferenze di consumo”
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I pericoli delle onde elettromagnetiche
Un uso eccessivo di smartphone, tablet e computer può danneggiare le funzioni cognitive soprattutto degli utenti più giovani
L’Anses, l’Agenzia nazionale francese per la sicurezza sanitaria dell’alimentazione, dell’ambiente e del lavoro ha recentemente pubblicato un report in cui afferma che, a causa della delicata fase di evoluzione della struttura fisica e delle funzioni fisiologiche, la popolazione più giovane deve essere considerata quella più esposta ai rischi dei campi elettromagnetici emessi da smartphone, tablet, giochi elettronici, radiocomandati, robot, walkie talkie e dispositivi di controllo. L’Anses precisa che le onde elettromagnetiche possono avere effetti negativi su memoria, capacità di attenzione e coordinazione. Problemi come stanchezza frequente, disturbi del sonno, ansia e stress sono soprattutto da mettere in relazione con l’uso intensivo dei cellulari, mentre allo stato attuale degli studi non è possibile affermare con certezza influssi sul comportamento, l’apparato uditivo, lo sviluppo, il sistema immunitario e riproduttivo, o che favoriscano l’insorgere di sicuri effetti cancerogeni. Alcune ricerche mettono inoltre in relazione un uso eccessivo degli smarphone con l’equilibrio psicologico, che può portare a depressione, comportamenti a rischio e pensieri suicidi. Sulla base di questi riscontri l’Anses ribadisce le sue raccomandazioni di un uso moderato dei cellulari e di utilizzare il più spesso possibile gli auricolari perché le onde elettromagnetiche sono più dannose se emesse vicino alle orecchie o a contatto con il corpo. Questi consigli di un utilizzo consapevole sono rivolti anche agli adulti, ma si sottolinea che gli effetti negativi sono particolarmente dannosi per i più giovani perché si trovano in una fase delicata di sviluppo cerebrale particolarmente sensibile all’assorbimento delle onde elettromagnetiche emesse dalle tecnologie senza fili e wifi. L’agenzia francese raccomanda inoltre di ritardare il più possibile l’età della prima utilizzazione, ma senza sconsigliare gli smartphone ai bambini sotto i sei anni, dato che al momento non ci sono dati sanitari sicuri per attuare questa misura di prevenzione.