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Il futuro dell’università sarà hi-tech?

Nella riforma della scuola del governo Renzi non c’è nemmeno un accenno all’acronimo Mooc (Massive Open Online Courses), cioè ai corsi universitari online pensati per una formazione a distanza. L’accesso alle piattaforme digitali non richiede il pagamento di una tassa di iscrizione e consente di accedere gratuitamente a numerosi materiali messi a disposizione sul web. Coursera, azienda statunitense fondata da docenti di Scienze dell’informazione dell’Università di Stanford, leader di questo nuovo sistema educativo, in cui si segnalano anche Udacity ed Edx, vanta più di nove milioni di utenti in tutto il mondo e quasi 500 corsi e partnership con prestigiose università di diversi paesi (in Italia ancora poche adesioni tra cui la Sapienza di Roma, la Bocconi di Milano e l’Università di Pisa). Un modello di successo, nonostante siano emersi alcuni problemi come il tasso di abbandono molto elevato, spesso superiore all’85 per cento, e la difficoltà a estendere questo tipo di insegnamento ai paesi con i minori tassi di istruzione (circa l’80 per cento degli iscritti proviene dagli Usa o da un paese OCSE, l’organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico). 

Strumenti basati sulla “flipped classroom”
L’innovazione dei Mooc pone questioni rilevanti anche rispetto al modo di interpretare la didattica. Questi strumenti sono basati sul metodo della flipped classroom (classe capovolta), che ribalta il classico sistema di insegnamento e apprendimento fondato sulla trasmissione di nozioni, trasformando la classe in un luogo di confronto e dibattito moderato dall’insegnante. Gli studenti di un corso Mooc seguono individualmente le lezioni video messe a disposizione dai docenti di turno, hanno la possibilità di discutere gli esercizi assegnati e di evidenziare eventuali problemi negli hangouts (luoghi di ritrovo virtuali) successivi alle lezioni. Da uno studio sperimentale condotto dalla San José University su un corso offerto sia attraverso la piattaforma Mooc sia nel modo tradizionale in aula, è risultato che nel primo caso ha superato gli esami il 91 per cento degli studenti, contro il 55-59 per cento del secondo. Le università di Harvard e il Mit (Massachusetts Institute of Technology) che hanno investito 30 milioni di dollari ciascuna sui Mooc creando Edx, hanno dichiarato che il loro obiettivo non è solo educativo ma anche di natura scientifica. Queste tecnologie offrono infatti dati utili per l’analisi dei meccanismi di apprendimento e per il miglioramento dell’offerta didattica. Un’altra fonte di reddito potenziale è legata alla vendita dei dati Mooc alle aziende impegnate nella ricerca di personale.

Un progetto che favorisce la partecipazione
Negli Stati uniti, oltre ai Mooc, inizia a diffondersi un nuovo modello di istruzione universitaria che esprime un concetto di campus diverso da quello tradizionale e tende a dare il massimo valore ai contenuti educativi essenziali mettendo in secondo piano, o addirittura eliminando, elementi considerati fino a oggi fondamentali come lectures, sport, biblioteche e accoglienti sedi universitarie. Una delle proposte più significative e interessanti per comprendere il processo evolutivo in atto è il Minerva Project, una educational venture che ha la sua sede a San Francisco e ha in programma l’apertura di altre sedi a Berlino, Buenos Aires, Hong Kong, New York e Londra. Il principale atout di Minerva è l’inedita piattaforma digitale messa a punto da Stephen M. Kosslyn, neuropsicologo tra i più famosi e influenti degli Stati uniti. Minerva propone un metodo di insegnamento diverso da quello usato nei Mooc. I suoi corsi non sono di massa (ogni classe è composta da 19 studenti) o online come quelli di Coursera e le lectures, che sono alla base dei corsi Mooc, sono eliminate. Secondo Kosslyn infatti le lectures sono uno strumento molto gratificante per i docenti, ma non altrettanto per gli studenti perché non favoriscono l’apprendimento e rappresentano inoltre un costo sempre più difficilmente sostenibile per le università. Il metodo di insegnamento proposto da Minerva si basa su seminari condotti attraverso la piattaforma ideata da Kosslyn, che consente una partecipazione diretta da parte della classe. Gli studenti e i gruppi che si possono formare liberamente interagiscono con il docente senza le inibizioni e le paure che spesso nelle classi tradizionali suggeriscono interventi convenzionali. Vengono così incoraggiate idee e prese di posizione personali anche se diverse e contrastanti con quelle del docente o della maggioranza dei compagni di corso, favorendo lo sviluppo di un pensiero critico.

Apprendimento modellato sulle proprie esigenze
Gli studenti iniziano il loro percorso di apprendimento attraverso i Cornerstone Courses, seguendo un itinerario che accomuna in modo trasversale le discipline scientifiche e umanistiche. Questo favorisce la formazione di una mentalità aperta e capace di impadronirsi dei concetti fondamentali della disciplina da loro scelta. Nelle classi delle materie scientifiche viene sollecitata la capacità di fare esperimenti controllati, mentre in quelle umanistiche sono insegnate le tecniche classiche della retorica per sviluppare le possibilità di persuasione. Minerva prevede cinque corsi di studio: arti e discipline umanistiche, scienze sociali, scienze computazionali, scienze naturali, economia e business. Nella piattaforma Minerva i quiz sono spesso formati da una sola domanda a scelta multipla cui bisogna rispondere in pochi secondi. Le risposte vengono subito registrate e analizzate dai docenti che possono dare consigli per colmare eventuali lacune. Mentre nei seminari tradizionali tenuti da esperti vengono espressi una serie di concetti che dovrebbero venire “magicamente” assimilati dagli studenti, la piattaforma di Minerva consente di modellare l’apprendimento in base alle proprie necessità. Il metodo ideato da Kosslyn è infatti progettato non solo per trasmettere informazioni, come già fanno le università tradizionali e i Mooc, ma una serie di strumenti che aiutano gli studenti diventare persone capaci di pensare e di adattare le loro conoscenze ai cambiamenti di una società in continuo mutamento.

Un percorso inedito di studi e relazioni
L’università tradizionale, tuttavia, viene ancora oggi considerata il luogo per eccellenza dove è possibile pensare in modo libero e indipendente, avere la possibilità di seguire corsi e fare esperienze, che consentono di approfondire numerose discipline senza dover rispondere a criteri di efficienza e praticità. Dai difensori della didattica convenzionale viene inoltre obiettato che una parte fondamentale del processo educativo è prodotta dal rapporto diretto e non mediato da strumenti digitali tra studenti e docenti impegnati in una ricerca approfondita, che solo i luoghi abituali del sapere possono assicurare. Fra gli oppositori di Minerva si afferma poi che è limitativo chiamare università una istituzione scolastica che non ha laboratori per la ricerca, spazi di ritrovo per gli studenti e professori che svolgono il proprio lavoro all’interno delle facoltà. Si sottolinea infine che l’insegnamento online tende ad ampliare il flusso di conoscenze ma non a plasmare la mente. A queste critiche Minerva risponde affermando che la sua piattaforma digitale consente un approccio e un approfondimento più coinvolgenti di quelli tradizionali e offre la possibilità di un percorso di studio di alto livello a studenti di tutto il mondo che oggi sono costretti a scegliere tra prestigiose, ma spesso irraggiungibili, università americane e del Regno unito, o rimanere nei loro paesi d’origine. La selezione per essere ammessi è molto più personalizzata rispetto a quella seguite dalle università tradizionali, con test che non seguono modelli standard e attraverso una verifica diretta con lo studente tramite Skype. I docenti non hanno l’obbligo di risiedere nella città dove ha sede l’università e si tengono in contatto costante attraverso una connessione internet. Attualmente gli studenti di Minerva pagano una retta di circa 10.000 dollari l’anno per quattro anni con la possibilità di avere un alloggio gratuito a San Francisco. Per il futuro si pensa di portarla a 30.000 dollari l’anno, compresi vitto e alloggio. Cifre molto alte per l’Italia, dove gli standard più elevati raggiungono i 10.000 euro, ma concorrenziali rispetto a quelli delle università più prestigiose degli Usa, con cui Minerva ambisce competere, che richiedono un impegno finanziario maggiore. Grazie ai risparmi ottenuti rispetto ai servizi molto costosi che caratterizzano le università tradizionali, Minerva offre inoltre aiuti finanziari agli studenti. Minerva infatti non ha biblioteche, mense, spazi dedicati agli sport e alle attività culturali. Gli studenti, che provengono da diversi paesi del mondo, dalla Cina all’India, al Brasile, si servono dei parchi, dei centri ricreativi e delle risorse culturali della città in cui ha sede l’università. Minerva si propone quindi come un nuovo modello basato su un percorso inedito di studi e di relazioni sia all’interno sia all’esterno dell’istituzione scolastica, che sta mutando in profondità il concetto stesso di apprendimento e con cui le università tradizionali dovranno sempre più confrontarsi in futuro.

 


 

“Una selezione personalizzata con test che non seguono i modelli standard, attraverso una verifica diretta dei risultati con lo studente tramite Skype”

“Gli studenti iniziano il loro percorso di apprendimento seguendo un itinerario che accomuna in modo trasversale le discipline scientifiche e umanistiche”

“Il metodo della flipped classroom ribalta il sistema di insegnamento e trasforma la classe in un luogo di confronto e dibattito moderato dall’insegnante”

“Minerva Project si basa su seminari condotti attraverso una inedita piattaforma digitale, che consente la partecipazione diretta degli studenti”

“Vengono incoraggiate idee e prese di posizione personali anche se diverse da quelle del docente, favorendo così lo sviluppo di un pensiero critico”

“Non solo informazioni, ma strumenti che aiutano gli studenti diventare persone capaci di adattare le loro conoscenze ai cambiamenti della società”

 


 

Mooc: una rivoluzione che trova l’Italia impreparata
Le tre disruptive waves che stanno cambiando profondamente la formazione universitaria

Il settimanale britannico The Economist in un articolo intitolato The digital degree, the future of universities ha messo in evidenza i motivi che mettono in discussione il modello tradizionale di università e favoriscono il diffondersi della formazione a distanza attraverso i Mooc. Tra questi viene dato un particolare risalto a tre disruptive waves (ondate dirompenti) che stanno cambiando radicalmente il modo di insegnare e di apprendere:
1. Diminuzione dei fondi pubblici e privati a sostegno di un sistema sempre più appesantito da costi crescenti (spese di amministrazione, stipendi dei docenti, investimenti in nuove tecnologie).
2. Diffusione degli strumenti hi-tech (smarphone, laptop e iPad) che consentono di utilizzare nel modo migliore le potenzialità espresse dai Mooc e facilitano il nuovo modello di insegnamento.
3. Cambiamento del mercato del lavoro che richiede un costante aggiornamento dei saperi professionali. Uno studio dell’Università di Oxford rileva che il 47 per cento dei lavori attuali sarà automatizzato in un prossimo futuro. Di conseguenza, per rimanere competitivi molti adulti oltre i 30 anni di età dovranno acquisire nuove competenze.
Secondo Education at a Glance 2015, il rapporto annuale, che fa il punto sullo stato dell’istruzione nel mondo, l’Italia è ultima per numero di laureati tra i 34 paesi Ocse, l’ Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. La qualità delle infrastrutture informatiche e una diffusa alfabetizzazione digitale (attualmente il nostro paese si trova al 21° posto su 28 nazioni europee nella classifica dell’agenda digitale!) saranno quindi elementi determinanti per garantire al mondo della scuola la possibilità di rispondere adeguatamente a un’offerta didattica in linea con la rapida evoluzione di una domanda sempre più differenziata e segmentata.


Peter Fischli e David Weiss, installazione. Dalla mostra How to Work Better al Gugghenheim Museum di New York.

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