Secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), realizzato dal gruppo di esperti intergovernativi dell’Onu sui cambiamenti climatici, uscito a novembre 2014, le emissioni di gas serra hanno raggiunto i livelli massimi da 800 mila anni. Per non superare il punto di non ritorno, dovranno essere drasticamente ridotte dal 40 al 70 per cento entro il 2050 ed eliminate dal 2100. Da molto tempo, uno dei problemi più sentiti e combattuti dagli ambientalisti di tutto il mondo è infatti la crescita eccessiva dei gas serra, dovuto all’incremento elevato di anidride carbonica (CO2), causato dall’uso crescente di combustibili fossili (carbone, petrolio) e dalla progressiva deforestazione, che sta riducendo drasticamente le grandi aree verdi della terra. L’aumento dell’effetto serra provoca un pericoloso surriscaldamento della superficie terrestre, causando danni molto gravi all’equilibrio ambientale, tra cui l’innalzamento del livello delle acque e l’inaridimento del suolo. L’attenzione quasi esclusiva a questa grave minaccia, che compromette il delicato equilibrio ambientale, ha messo però in secondo piano altri fattori non meno rilevanti. Alcuni dei danni maggiori all’ambiente sono infatti causati dal rapido aumento dell’uso spesso incontrollato di energia nucleare, soprattutto in Cina e India. Problema che fino a oggi ha ricevuto un’attenzione molto limitata nelle discussioni scientifiche e politiche. L’energia nucleare è ancora oggi considerata da molti organismi internazionali come la Banca mondiale, la principale organizzazione per il sostegno allo sviluppo degli stati in difficoltà, una forma di energia pulita, che cioè non rilascia CO2 quando viene prodotta. Giudizio che però non tiene nella giusta considerazione le conseguenze negative provocate dai rifiuti nucleari e dai pericoli difficilmente valutabili causati da guasti, furti, attentati terroristici e sabotaggi. La somma di queste minacce, moltiplicata per il numero crescente di impianti nucleari produce infatti un’elevata probabilità di rischio.
Favorire l’uso di energie rinnovabili
Tra le altre cause che provocano danni al nostro habitat segnaliamo la mancanza di un quadro normativo globale per la valutazione dei rischi ambientali, sia da un punto di vista etico sia da un punto di vista scientifico, che dovrebbe essere alla base di richieste politiche coordinate a livello mondiale. A questo si aggiunge il mancato sviluppo di un modello di riferimento per valutare i costi comparati delle diverse forme di energia prodotte da combustibili fossili, nucleare e fonti rinnovabili, comprese le componenti che non ricadono direttamente sul prezzo di mercato, ma rappresentano un costo per la comunità, come il rilascio di sostanze dannose nell’atmosfera e di elementi inquinanti nelle acque e nel suolo. È quindi necessario dare meno enfasi alla riduzione delle emissioni di CO2 ed evitare di cadere in pregiudizi in tema di vantaggi e di sanzioni. La mancanza di norme condivise a livello mondiale non consente inoltre di valutare i benefici derivanti da un maggior consumo di energia da parte dei paesi in via di sviluppo e da cui dipende la vita di un numero molto elevato di persone (in India, per esempio, non ha accesso a fonti energetiche circa un terzo della popolazione). Facilitare la produzione di energia con un migliore impatto ambientale può quindi essere fondamentale per migliorare le condizioni di vita di milioni di esseri umani. Anche perché numerose aree del pianeta in cui la povertà è più diffusa (Africa, India, Bangladesh) offrono numerose opportunità per la creazione e l’utilizzo di energia solare a basso impatto ambientale. Questo tipo di scelta, che richiede infrastrutture adeguate per accumularla e distribuirla nei periodi meno favorevoli, può dare notevoli vantaggi sia ai paesi con minori riserve di combustibili fossili, come l’Africa subsahariana, sia a quei paesi in cui alcune di queste fonti sono abbondanti, come per esempio il carbone in India, ma devono essere limitate causa l’impatto negativo sui mutamenti climatici.
Valutare gli effetti a medio e lungo termine
L’energia prodotta da fonti rinnovabili come il sole e il vento, cui in un prossimo futuro si aggiungerà quella prodotta dalle onde marine, che però richiede una tecnologia complessa e non ancora perfettamente messa a punto, sta diventando quindi l’alternativa principale alle fonti tradizionali (combustibili fossili e nucleare). In Cina, grazie alle sovvenzioni governative per la progettazione e l’utilizzo dei pannelli fotovoltaici, che per il loro basso costo vengono esportati anche in India, si sta diffondendo in modo considerevole l’uso dell’energia solare. Nel confronto tra nucleare e fonti rinnovabili si dovrà quindi prestare particolare attenzione non solo all’efficienza, ma anche al benessere e alla qualità della vita di un numero molto elevato di persone nel mondo. Per raggiungere questo obiettivo, è fondamentale iniziare a definire, attraverso la ricerca scientifica e una migliore pianificazione ambientale, un rigoroso piano normativo per la valutazione degli effetti a medio e lungo termine delle diverse fonti di energia a livello globale. Oltre a queste valutazioni è inoltre necessario creare un quadro di norme etiche condivise sulla base di quelle già definite alla fine degli anni 80 dal rapporto Brundtland dal titolo Our Common Future (Il nostro futuro comune) che conteneva la definizione di sviluppo sostenibile. Un concetto che unisce le aspettative di benessere e di crescita economica con il rispetto dell’ambiente e la preservazione delle risorse naturali, riassunto nella frase: “The needs of the present without compromising the ability of future generations to meet their own needs” (soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni).
Seguire nuovi modelli di comportamento
Non possiamo più limitarci, infine, a considerare il problema ambientale da un punto di vista esclusivamente antropocentrico. Pensare che prendersi cura del futuro delle specie animali presenti sulla Terra non sia compito dell’uomo, significa non accettare le basi dell’etica ambientale, la filosofia che estende le nostre responsabilità all’intero habitat in cui viviamo e si interroga sul nostro comportamento non solo nei rapporti con gli altri esseri umani, ma anche con le specie animali e vegetali, indipendentemente dalla nostra utilità, ampliando così il concetto di sviluppo sostenibile. La salvaguardia dell’ambiente non deve limitarsi alla conservazione passiva dell’esistente, ma comprendere la ricerca di nuovi modelli di comportamento che sappiano conciliare sostenibilità e raggiungimento di una elevata qualità della vita. Per arrivare a questi obiettivi dobbiamo pensare non solo a soddisfare le nostre necessità, ma anche a estendere il benessere di cui godiamo senza però compromettere il diritto delle generazioni future di avere livelli di vita simili o migliori. Può quindi essere utile ampliare l’attenzione, attualmente quasi a senso unico sulla riduzione di emissioni di CO2, verso una valutazione più ampia dei bisogni delle persone, affrontando in modo coordinato i numerosi pericoli che minacciano l’equilibrio del nostro pianeta.
“L’attenzione quasi esclusiva alla crescita dei gas serra ha messo in secondo piano fattori non meno rilevanti per salvaguardare l’equilibrio ambientale”
“È necessario dare meno enfasi alla riduzione delle emissioni di CO2 ed evitare di cadere in pregiudizi in tema di vantaggi e di sanzioni”
“Manca un quadro di riferimento per valutare i costi comparati dell’energia fossile, nucleare o prodotta da fonti rinnovabili”
“Alcuni dei danni maggiori all’ambiente sono causati dal rapido aumento dell’uso spesso incontrollato di energia nucleare, soprattutto in Cina e India”
“Facilitare la produzione di energia con fonti alternative può essere fondamentale per migliorare le condizioni di vita di milioni di esseri umani”
“Non possiamo limitarci a considerare il problema ambientale dal punto di vista antropocentrico, ma estendere le nostre responsabilità all’intero habitat in cui viviamo”
Arkady Shaikhet, Express, 1939. Dalla mostra The Power of Pictures: Early Soviet Photography, Early Soviet Film al Jewish Museum, New York. Courtesy Nailya Alexander Gallery, New York.