La crescita e l’espansione delle città e delle metropoli come luoghi di emancipazione economica, libertà culturale e assimilazione sociale ha moltiplicato le possibilità di incontro, ma sia nelle zone centrali in cui si addensa il maggior numero di persone sia nei luoghi più marginali e meno frequentati sono aumentati i pericoli soprattutto per quanto riguarda i furti, le violenze e le rapine. Manifestazioni, raduni, concerti ed eventi sportivi, esperienze in cui è possibile condividere conoscenze e ampliare le proprie opinioni, si possono inoltre trasformare in occasioni di contrasti e scontri con conseguente intervento delle forze dell’ordine che si servono di strumenti di repressione come gas lacrimogeni, manganelli e taser, le pistole che emettono impulsi elettrici e inibiscono le funzioni motorie. Autorità municipali e di governo, amministrazioni pubbliche e private invece di affrontare questi problemi con maggiore determinazione e investire in più complesse ma indispensabili iniziative nel campo dell’educazione, della formazione e della prevenzione, ritengono di risolvere o almeno limitare i comportamenti pericolosi con l’uso diffuso e massiccio di videocamere di sorveglianza, con il rischio di ledere numerosi diritti fondamentali dei cittadini come la riservatezza dei dati personali e sensibili e di favorire le discriminazioni di origine sociale ed etnica. Un fenomeno in costante aumento che non conosce barriere culturali e geopolitiche, diffuso anche se con modalità diverse nei paesi democratici, negli stati autoritari e nelle dittature, che influisce negativamente sulle vite delle persone e delle città.
Immagini intelligenti
Le prime telecamere a circuito chiuso (CCTV camera) apparse nel dopoguerra avevano una tecnologia analogica a bassa risoluzione e le registrazioni su nastro venivano utilizzate per filmare delle aree limitate. Dopo la loro diffusione tra gli anni 70 e 80 nei luoghi pubblici, nelle banche e nei centri commerciali, se la polizia era interessata al comportamento di una o più persone doveva impiegare molto tempo per collegare le riprese di diverse telecamere collocate in luoghi contigui a quello oggetto di indagine. Negli anni 90 la società svedese Axis Communication ha realizzato la prima camera connessa a internet che convertiva le immagini in movimento in dati digitali. Un’innovazione fondamentale che ha segnato l’inizio della trasformazione dei sistemi di controllo sociale. Nuove aziende come Milestone Systems, fondata in Danimarca nel 1998, hanno creato sistemi VMS per la gestione dei video, che oltre a organizzare le informazioni in database potevano servirsi di nuove funzioni come la tecnologia dei sensori di movimento, che segnalano l’ingresso di persone in un’area sotto controllo. I sistemi di videosorveglianza hanno così iniziato a diffondersi progressivamente e, secondo la società di informazioni globale IHS Markit, le videocamere con riconoscimento facciale erano nel 2021 circa un miliardo nel mondo. La loro più elevata presenza in rapporto al numero di abitanti si registra negli Stati uniti e in Cina (https://securitytoday.com/articles/2019/12/09/one-billion-surveillance-cameras-expected.aspx).
L’ombra del Grande Fratello
L’attuale elaborazione delle immagini basata sull’intelligenza artificiale consente inoltre di collegare le reti delle forze dell’ordine con quelle degli enti pubblici e delle aziende private non solo per registrare ogni movimento, ma anche interpretare le nostre intenzioni con l’analisi delle espressioni corporee. Si avvicina così la possibilità di una sorveglianza totale che minaccia le libertà dei cittadini e in modo particolare di quelli appartenenti alle minoranze etniche, linguistiche e religiose. A Detroit attraverso il contestato programma Project Green Light le aziende sono incentivate all’acquisto di videocamere a circuito chiuso connotate da una luce verde in collegamento con quelle della polizia che dovrebbero scoraggiare comportamenti pericolosi e crimini, ma nello stesso tempo ampliano le occasioni di controllo sociale. Anche Chicago, New York e Atlanta hanno incrementato le loro reti di sorveglianza con modelli simili a quelli di Detroit e altre città hanno avviato progetti analoghi. La tecnologia adottata per analizzare un numero così elevato di immagini registrate senza soluzione di continuità da migliaia di telecamere è quella prodotta in Israele da BriefCam, che consente di individuare e filtrare rapidamente oggetti, persone ed eventi in base al riconoscimento facciale e a ventisette diversi metadati come uomini, donne, bambini, veicoli, dimensioni, colore, velocità, percorso, direzione e tempo di permanenza, con l’opportunità di avere combinazioni e ricerche distinte. Con la funzione Video Synopsis si possono per esempio sovrapporre registrazioni di eventi avvenuti in momenti diversi come se apparissero contemporaneamente e visualizzare in pochi minuti gli elementi che interessano.
Prevedere i crimini
BriefCam oltre a isolare persone e oggetti mentre attraversano una rete di videocamere dotate di intelligenza artificiale, può valutare sia i flussi di immagini in tempo reale sia quelli registrati. Si riescono così a identificare non solo azioni scorrette come l’attraversamento di una strada fuori dalle strisce pedonali oppure il mancato pagamento del pedaggio per la sosta dell’auto, ma anche riconoscere emozioni, atteggiamenti anomali o insoliti e le espressioni che dovrebbero esprimere intenzioni ingannevoli. La società americana di analisi video Voxel51 offre poi una piattaforma per migliorare la comprensione dei filmati con ricerche su dati specifici non solo attraverso i propri software. C’è infatti la possibilità di integrarli con altri metodi di rilevamento come l’internet delle cose, i dispositivi “intelligenti” presenti negli elettrodomestici, nei sistemi di allarme, nelle auto, nei sensori per il fitness e persino nelle lampadine, un vero e proprio Grande Fratello che si trova all’interno e nei pressi delle nostre case. Non deve quindi sorprendere che le informazioni raccolte e unite a quelle provenienti da altre fonti come i social network, i casellari giudiziali, la localizzazione dei colpi di armi da fuoco e le previsioni meteo vengano utilizzate per cercare di prevedere i crimini prima che accadano, come più di vent’anni fa era stato preconizzato dal film Minority Report dove si denunciava la facilità con cui è possibile manipolare gli apparati di videosorveglianza e servirsene per i propri interessi.
Strumento di discriminazione
Come avverte lo studioso americano di Information Society Michael Kwet sulla rivista online indipendente The Interceptnel suo articolo The Rise of Smart Camera Networks, and Why We Should Ban Them(https://theintercept.com/2020/01/27/surveillance-cctv-smart-camera-networks/) un “ecosistema pubblico di sicurezza” riunirà i dati provenienti da diversi database come polizia, scuole, università, ospedali, centri commerciali, uffici della motorizzazione e della viabilità in un’unica struttura in cui grazie al supporto dell’intelligenza artificiale verranno valutate “anomalies in real time and interrupt a crime before it is committed” (le anomalie in tempo reale per bloccare un crimine prima che venga commesso). Questo organismo di sorveglianza in continua espansione, che in pochi anni ha moltiplicato negli Stati uniti fatturati e guadagni di tutte le principali aziende produttrici delle tecnologie di controllo, ma il modello si può estendere anche a molti altri paesi, si basa soprattutto sulla collaborazione volontaria delle persone. Come sottolinea Kwet: “The public is thus paying for their own high-tech surveillance three times over: first, through taxes for university research; second, through grant money for the formation of a for-profit startup (Voxel51); and third, through the purchase of Voxel51’s services by city police departments using public funds” (I cittadini pagano tre volte la propria sorveglianza ad alta tecnologia, attraverso le tasse per la ricerca nelle università, con le sovvenzioni per la costituzione di startup a scopo di lucro come Voxel51e tramite l’acquisto con fondi pubblici dei servizi di Voxel51 da parte dei dipartimenti di polizia). Occhi implacabili di migliaia di videocamere controllano continuamente ogni nostro movimento e informano in tempo reale le forze di sicurezza se camminiamo, corriamo, usiamo l’auto, la bicicletta e decidono persino se alcune azioni possono essere classificate come “sospette”. Con l’analisi dei dati l’intelligenza artificiale può inoltre identificare il nostro sesso e la nostra età e, attraverso il tipo di abbigliamento, anche l’appartenenza etnica e religiosa. Un insieme di informazioni che viene con sempre maggiore frequenza e facilità usato per colpire in modo particolare le minoranze e diventare così un insidioso strumento di discriminazione cui è molto difficile porre degli argini. Per fare accettare alle opinioni pubbliche l’introduzione nei centri abitati di un numero progressivamente più elevato di videocamere si segue una strategia di inserimento a fasi successive in modo da limitare le preoccupazioni da parte degli abitanti per la perdita della privacy e, nello stesso tempo, di convincere il maggior numero di persone ad approvare e a sostenere i progetti di sorveglianza di massa nell’interesse di una più elevata sicurezza collettiva, mentre altre persone saranno incoraggiate a farlo grazie a incentivi fiscali o attraverso altre forme di sostegno.
Autoritarismo digitale
Se da una parte governi, amministrazioni pubbliche e forze dell’ordine sostengono che le reti di videocamere “intelligenti” riducono in modo significativo il numero e la gravità dei crimini, dall’altra numerose forze politiche e opinioni pubbliche lamentano il loro costo eccessivo riguardo alla perdita di molti diritti fondamentali ed esprimono il timore che si sia avviata una corsa senza fine verso soluzioni sempre più invasive da parte di aziende private, banche, assicurazioni e reti commerciali con lo scopo di poterci descrivere e catalogare secondo modalità predefinite per meglio gestire le nostre azioni e le nostre scelte. Nonostante le regole per limitare l’uso della videosorveglianza possano essere continuamente migliorate, non avremo mai la certezza che restino in vigore. Si alimenta così l’idea di uno stato distopico che può disporre di un elevatissimo numero di strumenti digitali ad alta risoluzione collegati in rete che osserva e giudica in modo implacabile ogni nostra decisione. Questo modello di sorveglianza realizzato negli Stati uniti e diffuso in numerosi paesi occidentali viene seguito anche da alcuni stati africani, dell’America latina e dalla maggior parte delle nazioni appartenenti all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), organismo intergovernativo che riunisce alcuni dei principali protagonisti della politica internazionale fondato nel 2001 da Cina, Federazione Russa, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbechistan, cui hanno chiesto di aderire Iran, Turchia e Myanmar, dove è in corso un’espansione molto rilevante e in costante aumento delle tecnologie di sorveglianza, controllo e censura dei comportamenti delle persone. Un “autoritarismo digitale”, che spesso assume le forme di una vera e propria dittatura.
Controllo globale
Secondo il rapporto The Rise of Digital Authoritarianism di Freedom House, l’organizzazione internazionale non governativa che si occupa della difesa della democrazia e delle libertà fondamentali, l’“autoritarismo digitale” utilizzato per controllare i cittadini attraverso la tecnologia capovolge l’idea di internet come “engine of human liberation” (motore di liberazione umana), uno dei principi che hanno portato alla straordinaria diffusione di questo mezzo di comunicazione (https://freedomhouse.org/report/freedom-net/2018/rise-digital-authoritarianism). Il report afferma inoltre che esiste un profondo collegamento tra i sistemi di governo e il riconoscimento dei diritti digitali in quanto i regimi autoritari si servono della tecnologia come mezzo di controllo sociale in modo maggiore delle democrazie. Per definire il livello di libertà digitale i ricercatori di Freedom House valutano i paesi in relazione a numerosi fattori tra cui la protezione della privacy, la censura e le difficoltà per l’accesso a internet. Dai punteggi assegnati a queste componenti, si afferma che nessuno degli stati non democratici ha un internet libero, mentre i paesi democratici vengono definiti “liberi” o “parzialmente liberi”. Gli stati appartenenti all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, insieme a India, Pakistan, Bielorussia, Turchia e Venezuela ottengono da oltre dieci anni punteggi in diminuzione e dal 2014 Cina e Iran si collocano nei gradini più bassi della classifica. Attraverso la SCO e la Belt Road Initiative, il progetto strategico per il miglioramento dei suoi collegamenti economici, politici e culturali, la Repubblica popolare cinese offre il supporto di infrastrutture per lo sviluppo a più di centoquaranta paesi. Tra gli impianti strategici, ci ricorda la Mit Technology Review, (https://www.technologyreview.com/2022/09/22/1059823/cold-war-authoritarian-tech-china-iran-sco/) hanno un ruolo fondamentale le reti e i sistemi di sicurezza che formano un sempre più esteso e inquietante apparato di sorveglianza a livello globale.
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“L’elaborazione delle immagini basata sull’intelligenza artificiale registra ogni nostro movimento e può interpretare le nostre intenzioni”
“La tecnologia adottata consente di individuare rapidamente oggetti, persone ed eventi in base al riconoscimento facciale e a 27 diversi metadati”
“Le informazioni raccolte possono essere utilizzate anche per cercare di prevedere i crimini come aveva preconizzato il film Minority Report”
“Si cerca di fare accettare alle opinioni pubbliche l’introduzione massiccia di videocamere con incentivi fiscali e altre forme di sostegno”
“Anche se le regole per limitare l’uso della videosorveglianza possono essere migliorate, non avremo mai la certezza che restino in vigore”
“Esiste un profondo collegamento tra i sistemi di governo e il riconoscimento dei diritti digitali, tra le democrazie e i regimi autocratici”
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LE OLIMPIADI SONO SOLO UN PRETESTO?
Sorveglianza biometrica vs. attacchi terroristici. Ma i dubbi sono molti
Ha fatto discutere e sollevato perplessità la legge francese sulla “videosorveglianza aumentata” approvata in occasione delle ultime Olimpiadi di Parigi per monitorare in tempo reale, secondo la versione ufficiale, i grandi movimenti delle folle e prevenire eventuali attacchi terroristici. La videosorveglianza aumentata consente di rilevare comportamenti o oggetti definiti “sospetti” e di allertare le forze dell’ordine. Nonostante sia vietato dalle norme francesi sulla privacy, attraverso sistemi di riconoscimento facciale è inoltre possibile collegare i volti registrati dalle videocamere alle identità individuali. La legge, che dovrebbe essere sperimentale e restare in vigore fino al 30 giugno 2025, stabilisce che solo alcuni “eventi predeterminati” come gli spostamenti di gruppi di persone, atti di vandalismo, la presenza di pacchi sospetti o bagagli abbandonati siano rilevati in modo automatico, ma gli strumenti di sorveglianza riprendono comunque tutto quello che accade nel loro raggio di azione e questo suscita molti dubbi sulla reale finalità dell’operazione. Numerose associazioni per la tutela dei diritti dei cittadini come La Quadrature du Net (https://www.laquadrature.net) e gran parte dell’opinione pubblica ritengono infatti che le Olimpiadi siano state solo un pretesto per introdurre delle norme non attualmente consentite nell’Unione europea. Sono molto critiche anche perché la videosorveglianza biometrica è un business in continua espansione a livello planetario dominato da alcune delle maggiori aziende che realizzano i sistemi informatici capaci di identificare le persone in base a caratteristiche fisiologiche come l’iride, il viso e le impronte digitali. Dati sensibili conservati in grandi database di cui non si conoscono gli acquirenti e l’uso che ne viene fatto. In Europa Eu-Lisa, l’Agenzia europea per la gestione dei sistemi di tecnologia dell’informazione (IT) con sedi a Tallin e Strasburgo è considerata uno dei maggiori archivi a livello internazionale e possiede milioni di informazioni sulle identità di chi attraversa le frontiere dell’Unione europea. Anche se dovrebbero essere utilizzate per contrastare l’immigrazione irregolare e la criminalità transfrontaliera, possono però costituire la pericolosa e discriminatoria premessa di una sorveglianza biometrica di massa soprattutto nei confronti delle popolazioni più vulnerabili come rifugiati, migranti e apolidi.