Da molti anni filosofi e scienziati predicono che le macchine renderanno inutili i lavoratori. Dopo l’età del vapore, dell’elettricità e dell’l’information technology siamo entrati nella quarta rivoluzione industriale, nell’età del lavoro 4.0. Auto che si guidano da sole e droni che consegnano pacchi, per esempio, sono già una realtà che renderà superflui autisti e magazzinieri, ma sono a rischio anche professioni come programmatori informatici e piloti. In tutti i settori acquistano maggiore importanza, giorno dopo giorno, robot e software che rendono superflui molti lavori, provocando trasformazioni sociali, economiche e culturali forse ancora più radicali di quelle causate dalle precedenti rivoluzioni industriali. La produzione di nuovo tipo elimina infatti quasi completamente le attività manuali e richiede un elevato livello di competenze tecnico scientifiche, capacità di programmazione e problem solving all’interno di strutture basate più su progettisti che operai tradizionali. La nuova organizzazione del lavoro consente flessibilità negli orari e nei luoghi di lavoro, ma contemporaneamente ha conseguenze negative sul numero degli occupati. La preminenza sociale e culturale del lavoro, rischia così di non essere più al centro delle politiche economiche dei paesi occidentali con conseguenze difficili da prevedere.
I timori dei nuovi luddisti
Nell’industria manifatturiera oggetti sempre più personalizzati sostituiranno la produzione di massa ed è già possibile mettere in comunicazione tutte le componenti della filiera tecnologica in modo da poterla continuamente riprogrammare in base alle esigenze del momento, con elevati risparmi di tempo, energia e con un minor numero di persone addette alla produzione. Questo cambiamento sta provocando una profonda mutazione nel mondo del lavoro sia dal punto di vista qualitativo sia da quello quantitativo. L’avvento della tecnologia ha portato all’industrializzazione dell’agricoltura, la prima e la seconda rivoluzione industriale hanno creato il lavoro in fabbrica, la globalizzazione e l’automazione hanno favorito il passaggio dal lavoro nell’industria a quello nei servizi. Tutti queste variazioni hanno sempre determinato un aumento dell’occupazione, ma ora ci troviamo di fronte a un fenomeno completamente diverso. Nell’età dell’industria 4.0., il numero totale di lavoratori declina costantemente e in modo permanente. La speranza che le macchine possano liberare l’uomo dalla fatica consentendogli di dedicarsi ad attività più gratificanti si intreccia così con la paura che l’automazione possa prendere il sopravvento lasciando ai margini un grande numero di persone non più necessarie. Se negli anni Trenta del secolo scorso, durante la Grande depressione, l’economista americano John Maynard Keynes prevedeva che il progresso tecnologico avrebbe consentito nel 2030 una settimana lavorativa di 15 ore con molto tempo libero a disposizione, a metà degli anni Sessanta, un comitato composto da scienziati e operatori sociali avvertiva il presidente degli Stati uniti Lyndon B. Johnson che la rivoluzione cibernetica avrebbe creato una “nazione separata” composta da poveri, disoccupati e disadattati non più in grado di trovare un lavoro e di saper soddisfare le proprie necessità.
Una lenta discesa verso il basso
I sostenitori dei pericoli provocati dall’utilizzo intensivo della tecnologia vengono però accusati di luddismo (movimento di protesta operaia che sabotava la produzione industriale) e a questa tesi viene contrapposta una visione di un futuro in cui l’automazione favorirà lo sviluppo sociale ed economico, la nascita di nuovi bisogni con conseguente creazione di un maggior numero di posti di lavoro. Ma che cosa possiamo davvero aspettarci dall’avvento della quarta rivoluzione industriale e cosa significa esattamente l’espressione “fine del lavoro” associata da molti studiosi all’attuale fase economica? Con “fine del lavoro” si definisce una situazione in cui non è annunciata un’imminente disoccupazione generale, ma un periodo in cui è prevista una forte diminuzione dell’occupazione nei prossimi dieci anni tra il 30 e il 50 per cento (secondo una ricerca di Carl Benedikt Frey e Michael Osborne dell’Università di Oxford, entro vent’anni i robot potranno svolgere negli Stati uniti la metà delle attività produttive). La tecnologia può inoltre provocare una lenta ma continua pressione verso il basso della disponibilità di lavoro causando una progressiva diminuzione delle attività fulltime, favorendo quelle a tempo parziale. Il mercato inoltre, se da un lato richiede sempre maggiore formazione e specializzazione, dall’altro offre salari e stipendi sempre più ridotti. Per una parte significativa della società questa nuova condizione porterà a una riduzione delle aspettative per quanto riguarda la salvaguardia o il miglioramento del proprio tenore di vita, con la conseguente difficoltà o impossibilità di avere una pensione, e si presenta come una serie minaccia alla stabilità, alla coesione e alla sicurezza sociale. Gli economisti dell’Università di Chicago Loukas Karabarbounis e Brent Neiman hanno stimato che almeno la metà della perdita di posti di lavoro iniziata alla fine degli anni Ottanta e accentuata nel periodo della Grande recessione è stata causata, più che dalla globalizzazione, dal maggior utilizzo di computer e software. Se, per esempio, nel 1964 un’azienda delle telecomunicazioni come AT&T aveva un valore di 267 miliardi di dollari e 758.611 dipendenti, oggi Google ha un valore di 370 miliardi ma solo 55.000 dipendenti, cioè meno di un decimo della forza lavoro di AT&T.
Verso una nuova economia informale
In The Second Machine Age: Work, Progress and Prosperity in a Time of Brilliant Techologies (Norton, pp. 306, 26,95 euro, eBook 12,99 euro) i due studiosi del Mit (Massachusetts Institute of Technology) Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee affermano che, nella seconda era delle macchine i computer hanno delle potenzialità così elevate che è impossibile prevedere i lavori che potranno svolgere nei prossimi dieci anni. Chi poteva per esempio immaginare nel 2005, due anni prima della nascita dell’iPhone, che gli smartphone avrebbero minacciato molti posti di lavoro in settori come la mobilità e la ristorazione e, contemporaneamente (vedi articolo qui sotto Ma il futuro è già cominciato) ci avrebbero aiutato ad affittare una casa o a farci visitare a distanza da un medico? Ma potrebbero essere a rischio anche professioni apparentemente poco computerisable come per esempio lo psicologo. Numerose ricerche suggeriscono infatti che molte persone ritengono di poter esprimere più liberamente loro pensieri e paure davanti a un computer che di fronte a una persona di cui temono il giudizio morale. Il confine tra attività esclusivamente umane o realizzate da robot e applicazioni è quindi sempre più labile e sottile. Ma il declino del lavoro può offrire anche delle opportunità? C’è chi usa questa possibilità esclusivamente come tempo libero, che spesso significa non solo attività piacevoli, ma anche senso di emarginazione per una condizione alla quale non si è preparati, chi lo utilizza soprattutto a vantaggio della propria comunità con azioni di volontariato e chi cerca di metterlo al servizio di una nuova economia informale, che possa valorizzare la creatività individuale attraverso l’uso delle tecnologie più innovative. Il futuro, oltre a suscitare molti timori, potrà quindi offrire inedite possibilità di sviluppo. In ogni caso ci troviamo di fronte a situazioni che condizioneranno sempre di più le scelte dei governi in materia di politica industriale e di welfare, prevenendo situazioni di disagio sociale e privilegiando lo sviluppo di nuove attività attraverso una scolarizzazione diffusa e favorendo la nascita di startup legate a un diverso tipo di imprenditoria.
“La produzione di nuovo tipo richiede competenze tecnico scientifiche e progettisti con capacità di programmazione e problem solving”
“Nell’età dell’industria 4.0., il numero totale di lavoratori declina costantemente e in modo permanente provocando problemi di coesione sociale”
“Se da una parte il mercato richiede sempre maggiore formazione e specializzazione, dall’altra offre salari e stipendi sempre più ridotti”
“Ci troviamo di fronte a situazioni che condizioneranno sempre di più le scelte dei governi in materia di politica industriale e di welfare”
“Questa nuova condizione porterà a una diminuzione di aspettative per quanto riguarda la salvaguardia o il miglioramento del proprio tenore di vita”
“I governi dovranno privilegiare lo sviluppo di nuove attività attraverso una scolarizzazione diffusa e favorendo la nascita di startup innovative”
Ma il futuro è già cominciato
La rivoluzione della sharing economy con app, crowdsourcing e nuovo artigianato
La nuova economia on demand è il risultato dell’unione tra la forza lavoro e la tecnologia applicata agli smartphone, che ha preso il sopravvento su quella dei desktop e segna una frattura radicale con il concetto di impresa che ha dominato per circa un secolo tra la fine dell’Ottocento e del Novecento, caratterizzato da lavoratori con rappresentanza sindacale, contratti stabili, ruoli ben definiti e possibilità di carriera all’interno della stessa impresa. Il modello oggi emergente è quello di aziende e piattaforme come Uber, Airbnb, Spoon Rocket, Handy Bloom That e TaskRabbit, Eden McCallum, Axiom, Medicast consentono di risolvere, al momento soprattutto negli Stati uniti, in modo rapido ed efficiente (basta uno smartphone) molte necessità della vita quotidiana come spostarsi nel traffico cittadino, affittare una casa per le vacanze, farsi recapitare un pranzo da chef, pulire e rimettere in ordine la casa, chiedere di consegnare dei fiori o un regalo a domicilio, ma anche avere assistenza aziendale, legale o un medico che viene a casa dopo una visita tramite app. L’esempio forse più emblematico di come sta evolvendo la sharing economy (economia della condivisione) è però Amazon’s Mechanical Turk, il portale che raccoglie annunci di lavoro che non possono essere svolti in modo automatico da un’intelligenza artificiale. La domanda e l’offerta vengono messe in contatto con un innovativo sistema di crowdsourcing (affidamento di una mansione a persone estranee all’azienda) per la realizzazione di piccoli progetti. Un luogo di incontro per distribuire attraverso internet semplici lavori come immettere dati, classificare siti web, partecipare a sondaggi. Il lavoro è ridotto così ai suoi elementi essenziali, i ruoli sono definiti a priori, non ci sono colleghi con cui interagire, si rompe il legame fisico con l’azienda e si può svolgere il lavoro ovunque senza barriere geografiche. La rivoluzione tecnologica sta portando profondi cambiamenti anche nel mondo dell’artigianato, un settore che è stato emarginato dalla produzione di massa. La nuova ondata di automazione rimette in primo piano questa attività sia recuperando l’allure e il valore di prodotti unici e fatti a mano sia nella sua versione contemporanea legata alla stampa digitale 3D attraverso cui, con un semplice computer, si possono creare oggetti tridimensionali di varie dimensioni. La maggiore quantità di tempo libero a disposizione dovrebbe favorire inoltre la nascita di nuove attività culturali nel campo dell’arte, della musica, dello spettacolo e della letteratura non solo creando nuovi posti di lavoro ma anche migliorando la qualità della vita nelle comunità che le ospitano.
Peter Fischli e David Weiss, murale a New York City, 2016. Dalla mostra How to Work Better al Gugghenheim Museum di New York. Courtesy Public Art Found.