Un futuro migliore, ma non per tutti…

Alec Ross, docente alla Johns Hopkins University e alla Columbia University, consigliere di Barack Obama per l’innovazione, nel suo libro The Industries of the Future, bestseller edito negli Stati uniti da Simon & Schuster e in Italia da Feltrinelli con il titolo Il nostro futuro. Come affrontare il mondo dei prossimi vent’anni (pp. 341, 19,50 euro, eBook 12,99 euro) afferma che i robot stanno progressivamente eliminando molti lavori e, contemporaneamente, ne stanno creando dei nuovi di maggiore valore, ma questa profonda trasformazione del tessuto sociale non è e non sarà distribuita in modo equo. Come esempio di questa dolorosa asimmetria cita i lavoratori di Foxconn, la multinazionale di Taiwan considerata la maggiore produttrice mondiale di componenti elettrici ed elettronici, fornitrice di colossi come Apple, Microsoft, Sony e Nintendo, tristemente famosa per le difficili condizioni di vita e lavoro che hanno portato al suicidio numerosi dipendenti, la quale ha recentemente deciso di ridurre di oltre la metà la propria forza lavoro e di sostituire 60mila addetti con i robot. Ross paragona i lavoratori della Foxconn ai minatori del secolo scorso e sottolinea che rappresentano una versione moderna della schiavitù. Sono infatti obbligati a orari estenuanti, a condividere grandi dormitori e a vivere quasi esclusivamente nel compound intorno alla fabbrica. Con i robot, se da un lato vengono eliminati molti compiti difficili e pericolosi, dall’altro sono soppresse anche attività non particolarmente qualificate come quelle degli addetti ai server, lavoro assai diffuso negli Stati uniti. Questi mutamenti coinvolgeranno inoltre numerose altre occupazioni, anche se apparentemente difficili da automatizzare, tra cui gli assistenti giuridici e amministrativi.

Il ritorno dei grandi movimenti di protesta
La disoccupazione nei paesi europei e negli Usa è un problema riconosciuto anche da organismi internazionali come l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, e analizzato da centri studi come come il Pew Research Institute, il gruppo di esperti con sede a Washington che fornisce informazioni su politiche sociali, opinione pubblica, andamenti demografici negli Stati uniti e nel mondo (www.pewinternet.org/2016/03/10/public-predictions-for-the-future-of-workforce-automation/). La necessità di un ripensamento delle attuali politiche economiche viene anche dal World Economic Forum di Davos, la località svizzera dove si incontrano capi di stato e di governo, esponenti di primo piano della politica e dell’economia internazionali, grandi manager e giornalisti. Nell’incontro dello scorso anno è stata presentata una ricerca sugli effetti dell’automazione del lavoro sia manuale sia intellettuale, dove si prevede che entro due anni saranno cancellati milioni di posti di lavoro, i quali non verranno riassorbiti da altre attività. Come reazione a questa progressiva perdita di lavoro, Ross prevede per gli anni ‘20 del nostro secolo dei grandi movimenti di protesta paragonabili a quelli no global della fine degli anni ‘90 del Novecento, sorti in opposizione agli accordi di libero scambio, di cui è diventata simbolo la manifestazione di Seattle del 1999 contro il WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio. Dietro i grandi progressi della tecnologia e la proliferazione delle applicazioni che rendono più semplice la nostra vita si intravede quindi un domani non certo roseo, ma Ross non è pessimista sul nostro futuro e indica il sentiero da percorrere. Un itinerario segnato dalla “rivoluzione del silicio” che, oltre alla robotica, riguarda la genomica, i Big data, la cybersicurezza e la blockchain, la tecnologia su cui si basa moneta elettronica Bitcoin.

Problemi etici e morali
Per Ross la diffusione e la commercializzazione della genomica, la scienza che si occupa dello studio della struttura, della funzione e dell’evoluzione del genoma, cioè delle informazioni contenute nel Dna degli organismi viventi, sarà altrettanto importante e rivoluzionaria dell’avvento di internet e darà vita a una nuova economia, che produrrà un valore molto elevato dell’ordine di migliaia di miliardi di dollari. La diffusione delle biotecnologie e la manipolazione del Dna sarà utile per curare malattie gravi come l’Alzheimer e i tumori, ma porrà degli interrogativi etici e morali di difficile soluzione perché consentirà, per esempio, di poter avere figli su misura. Il progetto del genoma umano dovrà essere basato su un programma finanziato non solo dal settore privato, che persegue l’obiettivo del profitto e di conseguenza ha scarso interesse a finanziare la ricerca di base che non dà immediati riscontri economici, ma anche con l’apporto di forti investimenti statali, destinati ad avere un ruolo particolarmente importante per lo sviluppo.

Verso un nuovo eden del capitalismo?
Per l’industria chimica e farmaceutica si aprono così grandi possibilità di guadagno. Anche la ricerca scientifica potrà diventare un’attività produttiva grazie all’intraprendenza di ricercatori e scienziati e all’apporto di venture capital, il capitale di rischio investito da imprenditori privati per finanziare un’attività economica. Gli Stati uniti sono al momento la nazione più avanzata in questo settore strategico, ma rischiano di farsi superare dalla Cina. L’Europa può contare su ottimi istituti di ricerca, ma secondo Ross difetta dal punto di vista della commercializzazione delle sue scoperte mentre è arretrata la Federazione russa, che sconta ancora il vecchio ostracismo del periodo staliniano, in cui la genetica era considerata una pseudo scienza borghese. Visti i costi molto elevati di genomica e biotecnologie e una realtà sociale segnata da forti disuguaglianze si profila però il forte pericolo che ne potrà beneficiare solo l’uno per cento della popolazione mondiale più ricca la quale, secondo l’ultimo rapporto Oxfam, una delle maggiori confederazioni a livello internazionale per gli aiuti umanitari e i progetti di sviluppo, possiede più della metà della ricchezza globale. Quello che si prospetta come il nuovo eden del capitalismo si mostra così come la possibile continuazione del lato oscuro del neoliberismo, anche per quanto riguarda gli altri settori strategici indicati da Ross come la moneta elettronica, la cybersicurezza e la gestione dei Big data.

L’importanza dei Big data
Ross ritiene che assumerà un’importanza sempre crescente la code war, cioè il conflitto per il possesso dei codici, versione moderna della cold war, la guerra fredda. A causa del basso costo dei sistemi di hacking in relazione a quello degli armamenti, c’è infatti il rischio di una maggiore proliferazione di questi nuovi strumenti rispetto all’escalation nucleare. Secondo lo studioso americano, in questo settore si profila un futuro incerto fino a quando non assisteremo a una guerra cibernetica, che provocherà numerose vittime o un impatto fortemente negativo sul prodotto interno lordo dei principali paesi implicati in questi conflitti come Stati uniti, Cina o Federazione russa. Fino ad allora il cyberspazio, la dimensione immateriale che mette in comunicazione le risorse informatiche di tutto il mondo resterà nella situazione attuale, che ricorda quella del Far West. Se i terreni sono stati la materia prima dell’era agricola e il ferro di quella industriale, i dati sono il tessuto connettivo della nostra epoca. Attualmente nel mondo ci sono 16 miliardi di device e saranno 20 miliardi entro il 2020. Nel capitalismo dell’era digitale, il flusso di informazioni e di beni immateriali deve essere continuo e non correre il rischio di perdere o avere sotto attacco i propri dati sensibili. Di conseguenza, Ross prevede che gli esperti di questa materia, vista come una vera e propria miniera d’oro, avranno un lavoro garantito per i prossimi cinquant’anni, in un nuovo contesto della divisione internazionale del lavoro, che vedrà in prima fila le aziende di Stati uniti, Gran Bretagna e Israele, mentre le più semplici operazioni di elaborazione dei dati potranno essere affidate alle aziende di software dei paesi di più recente industrializzazione. Molte imprese del futuro saranno basate sulla moneta elettronica, vista non più come strumento libertario per svincolarsi dai poteri forti degli stati e dei capitali, ma come mezzo fondamentale per creare nuovi business, eludere le regole e garantire anonimato alle transazioni economiche e finanziarie. Ross vede quindi nello sviluppo dei Big data l’elemento fondamentale che farà uscire l’economia mondiale dall’attuale fase di grande stagnazione. Agli stati nazionali il compito di armonizzare l’uso da parte delle imprese dei dati personali, garantendo la protezione della privacy e dei diritti individuali. Dal punto di vista geopolitico, in queste nuove sfide i giapponesi sono in vantaggio rispetto a tutti gli altri paesi, grazie a costruttori di auto come Honda e Toyota, che hanno saputo armonizzare le loro conoscenze nell’industria meccanica con la predisposizione culturale ad accettare l’avvento della robotica. Un’integrazione favorita dalle basi animistiche dello shintoismo, che intravede un principio vitale in tutte le cose, a differenza delle religioni monoteiste e del pensiero occidentale diffidente verso le macchine dopo la caduta di Icaro.

Un mondo “modello Uber”
Nella capacità di adattamento alle trasformazioni cibernetiche, i giapponesi sono seguiti da cinesi, americani, coreani e tedeschi. Gli stati con le migliori aziende produttrici di robot, software e reti di connessione saranno i vincitori di questa sfida globale e gli unici a beneficiare di una profonda mutazione, che potrà essere distruttiva per chi ne rimarrà escluso. Anche se il saggio di Ross non indica come uscire concretamente dalla crisi e trascuri componenti essenziali dell’attuale stagnazione come la finanza internazionale, le politiche di austerità e i conflitti diffusi a livello mondiale, può essere utile per meglio comprendere le trasformazioni in atto. Per Kevin Kelly, esperto di tecnologia, cofondatore del magazine americano Wired, noto soprattutto per Out of Control: The New Biology of Machines, Social System, and Economic World (Perseus Books Group, pp. 528, 22,95 dollari) il libro uscito nel 1994 che ha ispirato la saga Matrix, ci attende un futuro dove il concetto di proprietà evolverà verso una dimensione immateriale che consentirà di avere accesso a una molteplicità di beni in continua evoluzione. Un mondo “modello Uber” in cui saranno fondamentali azioni come condividere, accedere, remixare, tracciare, interagire e “cognificare”, neologismo che indica la tendenza a rendere sempre più intelligenti le macchine, ormai in grado di imparare da sole senza ricevere istruzioni dirette. Lo afferma nel suo nuovo saggio The Inevitable: Undersanding the 12 Technological Forces That Will Shape Our Future (L’inevitabile: capire le 12 forze tecnologiche che disegneranno il nostro futuro) recentemente pubblicato negli Usa da Viking (pp. 336, 26 euro, eBook 23,35 euro).

Lo stato investitore
Smaterializzare le attività significa anche renderle più efficienti ottenendo risultati impensabili per la mente umana come dimostrano le nuove sperimentazioni possibili in chimica e medicina grazie alle simulazioni digitali. Tutto sarà connesso in rete, potremo dialogare con il mondo fisico e ricevere informazioni anche da strade, case e città, in una nuova realtà dove il web sarà il tessuto connettivo di un mondo in cui il lavoro diventerà creativo e l’attività principale sarà progettare nuove attività. Una visione del futuro quasi esclusivamente basata sull’evoluzione tecnologica, ma lontana dalle dinamiche sociali cui sono invece molto attenti Michael Jacobs e Mariana Mazzucato, curatori del volume Rethinking Capitalism: Economics and Policy for Sustainable and Inclusive Growth ( Wiley Blackwell, pp. 224, 18,80 euro) tradotto in italiano con il titolo Ripensare il capitalismo (Laterza, pp. 368, 24 euro, eBook 13,99 euro) con contributi importanti tra cui quelli Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia, e Colin Crouch, sociologo e politologo britannico noto per il suo libro Postdemocrazia (Laterza, pp. 148, 8,50 euro) dove denuncia il potere crescente delle oligarchie nelle democrazie avanzate. Dal libro emerge chiaramente che disuguaglianze, potere crescente della finanza e inquinamento ambientale sono nemici dello sviluppo economico e che per superare questi problemi è necessario che gli stati nazionali, oltre ad estendere i diritti sociali, investano nella ricerca scientifica e nella formazione. Tesi cara a Mariana Mazzucato, docente di economia alla Sussex University e autrice di Lo stato innovatore (Laterza, pp. 377, 18 euro, eBook 10,99 euro) che ha recentemente proposto una più giusta ed elevata tassazione delle grandi imprese multinazionali come indispensabile fonte di finanziamento della ricerca. Dopo aver ricordato che senza gli investimenti pubblici non avremmo, internet, il personal computer, lo smartphone e l’iPad, assegna allo stato il compito di creare nuove conoscenze e favorire la formazione di lavoratori qualificati, ma lasciando libere le imprese di raggiungere i loro obiettivi.

 


 

“I robot non eliminano solo le mansioni difficili e pericolose, ma sopprimono anche numerose occupazioni apparentemente difficili da meccanizzare”

“Secondo importanti istituti di studi internazionali, con l’automazione delle attività manuali e intellettuali saranno cancellati milioni di posti di lavoro”

“Le conquiste della genomica saranno altrettanto importanti e rivoluzionarie dell’avvento di internet ma ne potrà beneficiare solo una piccola minoranza”

“Secondo Alec Ross lo sviluppo della cybersicurezza e della moneta elettronica faranno uscire l’economia dall’attuale fase di grande stagnazione”

“La capacità delle macchine di diventare sempre più intelligenti sarà per Kevin Kelly una delle forze fondamentali che disegneranno il nostro futuro”

“Come afferma Mariana Mazzucato per superare le disuguaglianze, gli stati nazionali devono estendere i diritti sociali e investire in formazione e ricerca”

 


 

Come si misura il benessere?
Perché non basta più il Pil per valutare il livello di salute una nazione

Il Pil (prodotto interno lordo) è il valore monetario totale di tutto quello che si produce in un paese in un dato periodo ed è considerato il principale rivelatore di benessere, ma non comprende alcuni elementi fondamentali per definire l’effettivo grado di prosperità di una nazione. Nato negli anni ‘30 del Novecento in seguito alla crisi del ‘29, il Pil si è rivelato uno strumento utile soprattutto nel periodo postbellico per misurare la capacità produttiva di un paese. Da allora è diventato la stella polare di politici ed economisti per stabilire le percentuali di tassazione, affrontare i problemi della disoccupazione e gestire l’inflazione. Oggi rischia però di comportarsi come un tachimetro difettoso e suggerire decisioni apparentemente corrette ma in realtà profondamente errate. L’incremento del Pil negli Usa degli ultimi anni non rivela per esempio il declino del tenore di vita della classe media e l’aumento delle disuguaglianze. Ai dati della produzione andrebbero accostati gli indicatori sulla distribuzione del reddito, l’efficienza dei servizi, del welfare, della qualità della vita, della sicurezza, della ricerca e della sostenibilità ambientale. In un’epoca di prodotti sempre meno standardizzati, in cui si registrano quote in costante aumento del settore terziario è necessario rivedere inoltre i criteri di rilevazione del Pil da cui oggi sono esclusi servizi come quelli offerti da Google o Facebook, lo shopping online e l’home banking. Sarà inoltre indispensabile rilevare il livello di prestazioni fondamentali come l’assistenza sanitaria, la scuola e il lavoro non retribuito nella cura della casa e delle persone. A questo bisognerà aggiungere una revisione periodica del livello prosperità del paese, in cui vengano compresi i beni pubblici come i parchi e le strade, ma anche la ricchezza privata e le proprietà immateriali quali le competenze professionali, i marchi e la ricerca scientifica, senza dimenticare di accostarli ai dati sul depauperamento dei beni culturali e ambientali e del capitale privato dovuto all’usura dei macchinari e delle attrezzature. Una profonda revisione degli elementi di indagine statistica che consentirà di avere uno strumento adeguato per misurare l’effettivo grado di salute di una nazione.

 

Neil Libbert, 42nd Street, 1960. Dalla mostra Unseen London, Paris and New York, 1930-60, Ben Uri Gallery & Museum, Londra, 2016.

Neil Libbert, 42nd Street, 1960. Dalla mostra Unseen London, Paris and New York, 1930-60, Ben Uri Gallery & Museum, Londra, 2016.

 

aggiornato il 31 maggio 2017

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