La meritocrazia non è più un valore

Tra la fine del Novecento e i primi anni Duemila il controverso e combattuto concetto di meritocrazia ha subito un profondo mutamento. Se per il sociologo britannico Michael Young, che per primo ha coniato questo termine nel 1958 aveva un significato negativo e discriminatorio nei confronti delle minoranze e dei ceti sociali più svantaggiati, per Kingman Brewster, il presidente dell’Università di Yale (Connecticut), poteva invece rappresentare un fattore di mobilità sociale. Negli anni Sessanta decise di introdurre le ammissioni meritocratiche con l’obiettivo di rompere la tradizione che consentiva agli ex studenti dell’università un tacito “diritto di prelazione” in favore dei loro figli. Ma anche se questa innovazione ha permesso a un certo numero di ragazzi di iscriversi non in base al censo ma alle conoscenze acquisite e all’impegno dimostrato nello studio, l’effetto positivo è stato limitato e non è riuscito a spezzare la consuetudine. A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso la meritocrazia è diventata il mantra, la parola d’ordine dei politici e delle classi dirigenti occidentali che, sulla spinta dell’ideologia neoliberista dell’economista americano Milton Friedman i cui interpreti più influenti sono stati Margaret Thatcher nel Regno unito e Ronald Reagan negli Stati uniti, ne hanno fatto un elemento fondamentale delle loro azioni.

Sistema ereditario
Come ha scritto nel settembre 2019 su The Atlantic Daniel Markovits, docente alla Yale Law School e autore del libro The Meritocracy Trap (Penguin Press, pp. 448, 30 dollari, eBook 17,99 dollari), “Today, I teach at Yale Law, where my students unnervingly resemble my younger self: They are, overwhelmingly, products of professional parents and high-class universities. I pass on to them the advantages that my own teachers bestowed on me. They, and I, owe our prosperity and our caste to meritocracy” (Oggi insegno alla Yale Law, dove i miei studenti assomigliano in modo inquietante a me stesso quando ero giovane: sono in modo evidente i prodotti di una classe dirigente e di una struttura universitaria che seleziona per censo. Trasmetto loro i vantaggi che i miei insegnanti mi hanno consentito di avere. Sia loro sia io dobbiamo alla meritocrazia la prosperità e i benefici di appartenere a una casta). Con queste parole Markovits manifesta il proprio disagio di fronte a un’idea di merito ancora oggi prevalente e basata sui vantaggi di appartenere a un determinato gruppo che mantiene i suoi privilegi e l’egemonia sulle altre componenti sociali attraverso un sistema di tipo ereditario.

Processo di selezione
Una trasmissione del potere, suggerisce lo storico Mauro Boarelli autore del libro Contro l’ideologia del merito (Laterza, pp. 146, 14 euro, eBook 8,99 euro) fondata in modo strumentale su un meccanismo che consente la concentrazione e il passaggio dinastico di privilegi e risorse da una generazione all’altra in aperto contrasto con l’idea di uguaglianza, uno dei fondamenti della democrazia, e con l’articolo 3 della nostra Costituzione che afferma: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Un’ideologia che non prevede nessuna politica di rimozione delle condizioni di disuguaglianza che ostacolano il raggiungimento di una condizione di parità per ampie fasce della popolazione che continuano così a essere emarginate. In una intervista a Letture.org (https://www.letture.org/contro-l-ideologia-del-merito-mauro-boarelli) Boarelli ha precisato: “Non c’è alcun merito nel nascere in una determinata famiglia o in un determinato quartiere, così come non c’è alcun demerito nel non possedere adeguati mezzi economici e culturali. Se tutto viene giocato sul piano della competizione e del mercato, gli svantaggiati rimarranno tali. L’estensione del mercato ad ambiti che un tempo ne erano estranei – come la scuola, l’università, la sanità, la pubblica amministrazione – compromette la loro natura pubblica. Il merito non è costruito intorno ai cittadini, ma intorno ai clienti, agli utenti, che competono – come singoli individui e non come membri di una collettività – per essere meritevoli. Il concetto di cittadinanza, perde di conseguenza la sua sostanza e tende a disintegrarsi sotto la spinta di forze che spingono in direzione opposta rispetto alla cooperazione, alla solidarietà, alla coesione e alla giustizia sociale”. Un processo di selezione basato sul reddito e il censo che ha praticamente eliminato l’“ascensore sociale” con cui le nuove generazioni riuscivano a raggiungere uno status più soddisfacente e un reddito migliore di quello dei propri genitori e colpito in modo particolare la classe media, condannata a uno ruolo sempre più marginale. Con il declino della mobilità le probabilità per un bambino, indipendentemente dalle sue abilità, di raggiungere risultati sociali ed economici migliori di quelli dei genitori sono infatti diminuiti nella classe media non solo rispetto alle élite ma anche nei confronti di nuclei sociali meno abbienti. La meritocrazia ha insomma creato una competizione anomala e ingiusta in cui solo i più ricchi possono vincere al di là del loro impegno e delle capacità. Ma questo sistema crea problemi anche a chi riesce a ottenere risultati importanti perché chiede loro prestazioni sempre maggiori per poter mantenere le posizioni conquistate.

Successo come mito
Come sottolinea Markovits, “What, exactly, have the rich won? Even meritocracy’s beneficiaries now suffer on account of its demands. It ensnares the rich just as surely as it excludes the rest, as those who manage to claw their way to the top must work with crushing intensity, ruthlessly exploiting their expensive education in order to extract a return” (Cosa hanno vinto esattamente I ricchi? Anche chi ha avuto benefici dalla meritocrazia ora soffre a causa delle sue esigenze. Essa riesce a metterli in trappola nello stesso modo con cui esclude gli altri perché chi riesce a raggiungere la vetta deve lavorare con sempre maggiore intensità e costringe a restituire i vantaggi ottenuti grazie a una dispendiosa educazione). Le persone vengono infatti incentivate a considerare il lavoro come il mezzo indispensabile per assicurare ai propri figli la stessa costosa formazione che ha consentito loro di svolgere un numero ristretto di attività particolarmente remunerative, soprattutto nel campo della finanza, del management e della gestione aziendale, del diritto e della medicina con ritmi sempre più elevati. Si forma così una vasta comunità chiusa e autoreferenziale che danneggia gli equilibri su cui si deve reggere una società aperta e inclusiva, la sola che può affrontare con successo le complesse sfide della contemporaneità. Markovits non si limita a rivelare la struttura e il meccanismo di questo distopico processo di selezione e cerca di indicare una via d’uscita da un sistema ingannevole, che inizia nell’educazione primaria e prosegue fino all’università attraverso riti e modelli di comportamento definiti per porre il successo al di sopra di ogni valore.

Percorso virtuoso
Uscire dalla “trappola della meritocrazia” non sarà facile perché le élite oppongono una forte resistenza alle politiche che minacciano i loro vantaggi, ma cercare di costruire una società in cui una buona istruzione e l’accesso a posti di lavoro adeguati al grado di preparazione e rispettosi dei diritti fondamentali della persona sia possibile per un più ampio numero di cittadini è indispensabile per permettere a tutti di avere uguali basi di partenza e di raggiungere gli stessi livelli di benessere, in modo da diminuire le disuguaglianze e contribuire alla costruzione di una società più inclusiva ed efficiente. Per raggiungere questi risultati, precisa Markovits, il punto di partenza deve essere l’educazione. È quindi fondamentale ampliare la possibilità di accesso all’istruzione superiore e all’università a chi appartiene a famiglie con redditi che non permettono di sostenere questi corsi di studio. Parallelamente è necessaria una profonda riforma del mondo del lavoro che favorisca i lavoratori con competenze medie e consenta di semplificare e razionalizzare le attività nel settore pubblico in modo da dare maggiore spazio ai ruoli interni e meno alle consulenze esterne, in cui spesso si nascondono interessi privati. Nel settore sanitario bisognerà per esempio sostenere l’attività di prevenzione che può dare risultati importanti senza coinvolgere figure professionali di livello troppo elevato, in quello bancario sarà utile introdurre norme che limitano l’ingegneria finanziaria e favoriscono le piccole realtà locali e regionali che potranno così assumere persone con competenze non eccessivamente specialistiche. Per quanto riguarda l’ambito legale sarà importante definire delle figure intermedie che possano svolgere dei compiti oggi riservati ai notai e agli studi legali soprattutto nel campo delle transazioni immobiliari, dei divorzi consensuali, o di lasciti testamentari non troppo complessi. In questo modo le élite potranno rinunciare a una parziale riduzione del proprio reddito in cambio di più tempo libero e di un migliore stile di vita e la classe media ritroverà il suo ruolo centrale. Un percorso virtuoso che consente di ridare vitalità al consolidamento dei principi democratici e allo sviluppo sociale ed economico.

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“A partire dagli anni 80 del Novecento la meritocrazia è diventata il mantra, la parola d’ordine dei politici e delle classi dirigenti occidentali”

“Il processo di selezione basato principalmente sul reddito e il censo ha eliminato l”ascensore sociale’ e colpito in modo particolare la classe media”

“Il concetto di cittadinanza si è infranto sotto la spinta di forze che spingono in direzione opposta rispetto alla coesione e alla giustizia sociale”

“Si è formata una comunità chiusa che danneggia la creazione di una società aperta e inclusiva, l’unica che può affrontare le sfide della modernità”

“È indispensabile uscire dalla ‘trappola della meritocrazia’ anche se le élite oppongono resistenza alle politiche che minacciano i loro vantaggi”

“È fondamentale far accedere all’istruzione superiore e all’università chi appartiene a famiglie con redditi bassi e riformare il mondo del lavoro”

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OPPORTUNITÀ E PERICOLI DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Un esperimento negli Usa ci fa riflettere sul valore della privacy

Nel campo della ricerca medica l’uso della imaging technology, la metodologia avanzata che consente di avere immagini del corpo umano, o di sue parti e funzioni, viene sempre più utilizzato per analizzare le malattie nelle loro prime manifestazioni in modo da poter intervenire nelle fasi iniziali con terapie mirate ed efficaci. Per monitorare per esempio lo sviluppo del glaucoma, una patologia che colpisce gli occhi e compromette gravemente la vista se non viene diagnosticata in tempo, i medici si servono sempre più dell’intelligenza artificiale, che per dare risultati significativi ha però bisogno di un numero molto elevato di dati. Robert Chang, un oftamologo dell’Università di Stanford che da alcuni anni usa l’imaging technology per la diagnosi e la cura delle malattie oculari ha constatato che le scansioni delle immagini dei suoi pazienti non erano sufficienti per la creazione di algoritmi perché per raggiungere dei risultati utili è indispensabile avere un numero molto elevato di elementi. Ha quindi deciso di chiedere la collaborazione di altre università e di poter accedere ai dati dei volontari che si mettono a disposizione dei ricercatori. Dato che le norme sulla privacy non consentono di poterli avere al di fuori delle finalità per cui i donatori li hanno concessi, Chang ha iniziato a collaborare con Dawn Song, una docente dell’Università di Berkeley (California), per definire come condividerli con sicurezza. Il nuovo sistema si fonda su una rete di cloud computing, cioè di servizi erogati on demand, progettata in modo che i ricercatori non possono venire a conoscenza di elementi personali anche quando sono usati per allenare l’intelligenza artificiale ed evitare così che vengano venduti alle aziende farmaceutiche. Questa iniziativa si aggiunge ad altre in corso negli Stati uniti che hanno lo scopo di mettere sempre più informazioni a disposizione dei cittadini, raccolti non solo nel settore sanitario ma anche in altri campi. Si viene così a creare un nuovo sistema di condivisione, che suscita però numerosi interrogativi perché contribuisce a formare dei modelli che alimentano una vasta area la cui gestione può non essere trasparente e minare la libertà personale.

Isaac Julien, “Western Union: Small Boats”, 2007. Dalla mostra “When Home Won’t Let You Stay: Migration through Contemporary Art”, ICA, Boston, 2019- 2020. Foto Joaquin Cortés / Victoria Miro, Londra / Venezia e Metro Pictures, New York.


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