L’espansionismo silente

Dividersi il mare come fosse terraferma per sfruttarlo economicamente ed espandere il proprio spazio di difesa. Se il dominio sulle acque è stato alla base della formazione dell’impero britannico, oggi rappresenta il cardine dell’egemonia economica, politica e militare degli Stati uniti e degli scambi commerciali globali. Il controllo dei mari è fondamentale per garantire una navigazione sicura, maggiore protezione dei territori nazionali, per avere più ampie e favorevoli relazioni economiche con gli altri paesi, maggiori possibilità di pesca e di sfruttamento dell’energia eolica, per l’estrazione di gas, petrolio e minerali come cobalto, litio, manganese, nichel e rame, essenziali per la produzione delle tecnologie informatiche, di batterie e pannelli fotovoltaici indispensabili nella transizione verde. 

Spartizione del mare
Istituite dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) a Montego Bay nell’isola di Giamaica nel 1982, le zone economiche esclusive (ZEE) sono le aree adiacenti alle acque territoriali, che si estendono fino a 200 miglia nautiche (circa 370 chilometri) dalla costa di uno stato e per 188 miglia nautiche dal limite delle acque territoriali. A differenza di queste ultime, che costituiscono un allargamento di 12 miglia nautiche del territorio nazionale sul quale secondo il diritto internazionale gli stati esercitano una sovranità analoga a quella sulla terraferma e su cui hanno piena giurisdizione, le zone economiche esclusive consentono di esercitare i propri diritti solamente sulla gestione e l’utilizzo delle risorse naturali, sia sopra sia sotto la superficie del mare, sulla definizione e limitazione dei diritti di pesca e sulla salvaguardia ambientale. All’interno delle ZEE è inoltre possibile realizzare infrastrutture, installare piattaforme e barriere frangiflutti, costruire isole artificiali e stazioni radar, che permettono di controllare il traffico marittimo e aereo all’interno della propria zona economica esclusiva sia per quanto riguarda gli scambi commerciali sia per le imbarcazioni o i sommergibili militari, ma non impedire a stati terzi la posa di gasdotti, o la collocazione di cavi subacquei fondamentali per le connessioni internet, wifi e per la trasmissione di dati ed energia. Le ZEE rivestono anche una grande importanza nello sviluppo della Blue Economy. Attraverso la conservazione e la rigenerazione dell’habitat marino, possono favorire infatti la creazione di valore economico e sociale in modo sostenibile. L’istituzione delle zone economiche esclusive rappresenta una vera e propria territorializzione del mare, che definisce una nuova mappa geopolitica ed egemonica a livello globale. Per prevenire possibili conflitti nell’attribuzione delle giurisdizioni quando gli stati sono vicini tra loro, come per esempio nel Mediterraneo su cui si affacciano ventidue paesi, la UNCLOS ha stabilito che nell’ipotesi in cui le coste distino meno di 400 miglia nautiche e in tutti i casi dove una ZEE venga contestata da due o più nazioni deve sempre prevalere il principio di equità.

Un caso particolare
Il diritto internazionale non stabilisce delle regole chiare per tracciare i confini delle ZEE nell’ipotesi di controversie e rimanda agli stati la responsabilità di fare accordi. In alcuni casi si è deciso di definire la linea di divisione in un punto equidistante dalle due rive. Questa scelta non è però sempre possibile per motivi strategici sia dal punto di vista militare sia economico (alla possibilità di utilizzo delle preziose materie prime che si trovano sul fondo del mare bisogna aggiungere lo sfruttamento dell’energia sviluppata da impianti offshore che utilizzano il vento, il moto ondoso e le correnti, fondamentali per la transizione energetica) o per le complesse conformazioni costiere come nel caso di Italia e Grecia. In tutte queste situazioni si preferisce quindi delimitare le nuove frontiere secondo i confini continentali, cioè attraverso il prolungamento della conformazione della terraferma nei fondali marini. Si è così formata una diversa geografia globale in cui l’ampliamento degli stati definisce una nuova distribuzione del potere e dove il Mediterraneo rappresenta un caso molto particolare dato che è un mare semichiuso in cui la distanza tra le coste di differenti stati è limitata e può provocare forti contrasti. In qualunque punto ci poniamo non siamo mai infatti a più di duecento miglia nautiche (una misura arbitraria stabilita dopo complessi negoziati decennali) dalla costa più vicina. Come afferma il filosofo Roberto Casati, direttore di ricerca al Centre National de la Recherche Scientifique all’Institut Nicod, École Normale Supérieure di Parigi sul supplemento Domenica del Sole 24 Ore del 13/08/2023: “Alla fine dei conti, un terzo di tutta la superficie marina viene inghiottito dalle ZEE”. 

Diversi rapporti di forza
Precisa Casati: “Per capire meglio il cambiamento in atto nella rappresentazione geopolitica del mare, con Umer Gurchand abbiamo definito alcuni indici che pur nella loro semplicità offrono una visione delle mutazioni tra gli equilibri internazionali (lo studio completo è pubblicato sul numero 1/2023 di Gnosis, la rivista dell’intelligence italiana). Perché se il mare diventa un territorio, non solo scompare il Mediterraneo, ma nascono nuove realtà e nuovi rapporti di forza”. Se per ogni stato si considera il solo territorio marino possiamo per esempio valutare in modo diverso un parametro importante come la densità di popolazione. Secondo lo studio di Casati e Gurchand, con ZEE piccole o popolazioni grandi, Singapore, la Slovenia, l’Iraq, la Giordania e la Bosnia hanno valori molto elevati, mentre gli stati insulari del Pacifico risultano quasi deserti. Se consideriamo inoltre la proiezione marina, che misura il rapporto tra la lunghezza delle coste di uno stato e l’area della sua zona economica esclusiva, o il “capitale marino” (valuta il numero di chilometri quadrati di mare cui dà accesso un chilometro di costa) ci troviamo di fronte a risultati difficilmente prevedibili. 

Paradossi solo apparenti
Nel confronto tra due stati europei simili dal punto di vista sociale ed economico come l’Italia e la Francia, in cui la nazione transalpina ha una superficie poco più del doppio di quella del nostro paese, possiamo valutare le alterazioni provocate dalle Zone economiche esclusive. Se l’Italia include 71 chilometri quadrati di mare per ogni chilometro di costa, la Francia con le sue isole in Polinesia ne possiede invece 2400, cioè circa trentatré volte di più e sorprende sapere che un singolo atollo dell’oceano Pacifico come Clipperton, chiamato anche Isola della Passione, genera una ZEE che equivale all’80 per cento della superficie terrestre francese. Di conseguenza, la superficie marina italiana è di 115 persone al chilometro quadrato e quella francese di sole sei persone. Secondo l’indice che rappresenta l’equilibrio tra terra e mare, espresso dalla superficie della Zona economica esclusiva corrispondente a un’unità di superficie terrestre in cui si misurano la “marinità” e il “radicamento terrestre”, Stati uniti e Australia raddoppiano il loro territorio e si trovano in equilibrio, mentre per Cina e Canada l’incremento è di un po’ più della metà e appaiono sbilanciate verso la terra.

Un’antica eredità 
Grazie alle ZEE il Cile aumenta la propria superficie di cinque volte, Norvegia e Giappone di dieci, Francia Nuova Zelanda, Regno unito e Portogallo di venti. Se gli esclusi da questa nuova mappa del potere sono gli stati che non hanno accesso al mare come la Svizzera, l’Austria, la Bolivia o la Mongolia, i grandi vincitori sono quelli che possono contare su un passato coloniale. Parallelamente emergono nuove realtà, di cui gli arcipelaghi del Pacifico rappresentano l’esempio più emblematico, che costituiscono dei veri e propri “grandi stati oceanici”. “La spartizione territoriale del mare solleva domande e dubbi. Perché gli stati che non hanno affaccio sul mare sono esclusi dai benefici del mare?”, si domanda Roberto Casati, che aggiunge: “L’enormità delle risorse di cui dispongono i ‘grandi stati oceanici’ non è sorretta da un apparato difensivo corrispondente: sapranno proteggerle? Nella giurisdizione internazionale, vale il principio per cui ‘la terra domina il mare’: se le isole del Pacifico verranno sommerse, svaniranno anche i loro territori marini, e il diritto per i ‘migranti del cambiamento climatico’ di sfruttare queste risorse a titolo postumo? I confronti tra terra e mare… mostrano che le nuove asimmetrie territoriali non riflettono dei veri e propri rapporti di forza. Il che fa presagire che nei decenni a venire si assisterà a una ricerca di nuovi assetti… Se il mare diventa un territorio, le logiche di potere territoriale saranno ineluttabili”. Si intravede così una diversa, instabile e mutevole realtà in cui a immense disponibilità di beni materiali e immateriali non sempre corrispondono poteri adeguati, che potrà dare origine a diverse e imprevedibili forme di conflitto.

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“Il controllo dei mari è essenziale per una navigazione sicura, la protezione dei territori nazionali, lo sfruttamento di energie e minerali critici”

“Le Zone economiche esclusive consentono la rigenerazione dell’habitat marino in modo sostenibile e favoriscono lo sviluppo della Blue Economy“

“L’istituzione delle ZEE rappresenta una territorializzione del mare, che definisce una nuova mappa geopolitica e di egemonia a livello globale”

“Attraverso indici come la densità di popolazione o il ‘capitale marino’ possiamo meglio comprendere i profondi mutamenti definiti dalle ZEE”

“Gli esclusi da questa nuova mappa del potere sono gli stati che non hanno accesso al mare mentre, i grandi vincitori sono quelli con un passato coloniale”

“Una nuova, instabile realtà con immense risorse cui non sempre corrispondono poteri adeguati, che potrà dare origine a diverse forme di conflitto”

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SOLO IPOTESI SULLA ZEE ITALIANA
È importante definirle presto per non lasciare troppo spazio agli altri paesi 

L’Italia ha una posizione strategica nel Mediterraneo da cui dipendono la sua influenza geopolitica, la possibilità di utilizzo delle risorse marine e sviluppo nella Blue Economy, che con la creazione di un ecosistema equilibrato può contribuire in modo rilevante alla formazione di valore economico e sociale sostenibile grazie al riuso delle risorse attraverso l’energia eolica sviluppata dal moto ondoso e dalle correnti. Per il nostro paese assume dunque un’importanza particolare l’attivazione delle zone economiche esclusive sulla base dei principi stabiliti dall’UNCLOS nel 1982 ed entrati a far parte del diritto internazionale dal 1995. Il Parlamento ha iniziato concretamente a occuparsene con l’emanazione di un decreto che consente la delimitazione di una Zee italiana solo nel 2021, dopo molte altre nazioni che si affacciano sul Mediterraneo come Croazia. Francia, Spagna, Tunisia, Libia, Turchia, Algeria, Israele e Marocco. Nonostante siano state tracciate le linee guida, non è però ancora definito il contorno preciso della Zee italiana e al momento si può registrare la creazione di un vero e proprio accordo esclusivamente con la Grecia e la Croazia, che prevede di tracciare il limite in corrispondenza del confine della piattaforma territoriale. È quindi di vitale importanza stabilire al più presto la nostra ZEE anche perché molte altre nazioni hanno iniziato ad agire in modo deciso. Nel 2018 l’Algeria ha per esempio proclamato la propria ZEE, che arriva a lambire le acque territoriali italiane a ovest e a sud della Sardegna nei pressi del Golfo di Oristano e non bisogna dimenticare che nel Mediterraneo cercano di espandersi potenze come la Turchia e la Federazione russa presenti in Libia e quindi molto vicine ai nostri limiti marini. Con circa ottomila chilometri di coste e molti anni di tempo a disposizione l’Italia è uno dei pochi paesi dell’area mediterranea a non aver ancora dichiarato la propria zona economica esclusiva, nonostante la sua minore influenza geopolitica rispetto al passato e una situazione molto incerta a causa della presenza di numerosi conflitti. Per definire la nostra ZEE nel modo più efficace senza creare contrasti o problemi con gli altri stati mediterranei è quindi necessario tracciare dei confini marittimi che non siano oggetto di dispute e allo stesso tempo sottoscrivere accordi bilaterali con ogni singolo stato con cui condividiamo porzioni di mare per renderli definitivi e poter così iniziare a utilizzare le numerose e preziose risorse del mare anche in relazione agli investimenti già effettuati per la realizzazione di impianti eolici offshore nelle coste occidentali della Sicilia e sud occidentali della Sardegna.

“The Flat Earth”, 1991. Matita, pastello e matita colorata su carta. Courtesy The Saul Steinberg Foundation.

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