Rispetto dell’habitat

Secondo l’Indice di vivibilità Eiu 2024 i centri urbani hanno raggiunto il migliore livello di qualità della vita degli ultimi quindici anni. Per arrivare a queste conclusioni l’Eiu (Economist intelligenge unit), curato dal dipartimento dell’Economist Group per le analisi geopolitiche e macroeconomiche, ha confrontato le condizioni di 173 città in tutto il mondo secondo cinque parametri: stabilità, assistenza sanitaria, cultura, ambiente, istruzione e infrastrutture (https://www.eiu.com/n/campaigns/global-liveability-index-2024/). L’indagine, creata per supportare le aziende sul calcolo delle indennità ai dipendenti per il disagio dovuto al trasferimento in una sede situata in un altro paese, vede Vienna al primo posto per il terzo anno consecutivo grazie agli ottimi livelli raggiunti in stabilità, assistenza sanitaria, istruzione, infrastrutture e nonostante il punteggio leggermente inferiore in cultura e ambiente per il minor numero di grandi eventi sportivi, seguita da Copenaghen, Zurigo e Melbourne. Quasi tutte le prime classificate sono città di dimensioni medie o piccole e fino al cinquantesimo posto si trovano in paesi ad alto reddito. Metropoli e grandi città caratterizzate da elevati livelli di criminalità, problemi di traffico e densità abitativa perdono invece molte posizioni. Londra passa per esempio dal 34° al 45° posto, New York dal 59° al 70°.

Diminuire le disuguaglianze
In seguito all’incremento nell’istruzione e nell’assistenza sanitaria, in Nuova Zelanda e Vietnam la capitale Wellington e Ho Chi Minh City sono salite di numerose posizioni, mentre in Libia e Siria rimangono drammatiche le situazioni di Tripoli e Damasco, che occupano gli ultimi due posti. Per l’architetto cileno Alejandro Aravena direttore nel 2016 della Biennale Architettura e vincitore del premio Pritzker, il Nobel per l’architettura, l’ambiente urbano deve trovare l’equilibrio tra spazio pubblico e privato, verde e democrazia partecipativa e coinvolgere le comunità nei progetti. In seguito alle migrazioni che spingono milioni di persone a spostarsi verso i centri abitati per cercare un lavoro e avere accesso ai servizi di base è fondamentale che le città diventino una fonte di sviluppo in seguito ad adeguati programmi di finanziamento, a una legislazione e un’urbanistica che sappiano trasformare le difficoltà in opportunità. Per Aravena i centri abitati, come ha scritto su La Lettura, il supplemento culturale del Corriere della Sera del 28 agosto 2022, riflettono “le disuguaglianze in modo concreto, quotidiano, brutale”, ma possono anche diventare uno strumento per correggere le disparità. Se si definiscono dei progetti urbani strategici per infrastrutture, spazi e trasporti pubblici, “si può migliorare la qualità della vita in tempi piuttosto brevi e senza dipendere interamente dalla redistribuzione del reddito”.

Recupero e riuso
Aravena cita come esempio di intervento strategico la costruzione della sede della Banca Interamericana di Sviluppo a Villa 31, una baraccopoli di cinquantamila abitanti situata in una zona centrale ma isolata di Buenos Aires a causa del passaggio di una linea ferroviaria che la separa dal resto della città. La nuova struttura potrà diventare il collegamento naturale tra lo slum e il vicino quartiere residenziale attraverso la costruzione di un ponte sul quale verrà creato un ampio parco, che doterà di uno spazio pubblico vivibile uno dei quartieri più poveri del territorio metropolitano e contemporaneamente migliorerà l’offerta di servizi e forza lavoro per la parte più ricca con vantaggi reciproci tra due aree della capitale dell’Argentina da sempre profondamente divise. Per il miglioramento dell’ambiente urbano sarà necessario progettare edifici che non solo riducano i consumi ma siano anche in grado di produrre energia come la Powerhouse Telemark realizzata dallo studio di architettura, design di interni e del paesaggio Snøhetta a Porsgrunn nel nord della Norvegia, che oltre a diminuire i consumi del settanta per cento si propone di diventare un modello per gli spazi di lavoro del futuro e stabilire nuovi standard per la bioedilizia (https://www.snohetta.com/projects/powerhouse-telemark). Grazie a una copertura inclinata fotovoltaica di millecinquecento metri quadrati, Powerhouse Telemark riesce infatti a generare più energia di quanta ne venga utilizzata nell’intero ciclo di vita dell’immobile, calcolo in cui sono comprese le fasi di costruzione, demolizione e la quantità di energia consumata nella produzione dei materiali. Rispettare l’habitat significa anche diffondere, soprattutto nei centri storici e nelle zone dove si trovano gli edifici industriali abbandonati, la pratica del refitting, di tutti quegli interventi sulle architetture esistenti che con il riuso, la ristrutturazione o la ricostruzione degli spazi, contribuiscono al miglioramento delle loro caratteristiche costruttive e ambientali, definiscono diverse funzioni e ne favoriscono una nuova esistenza. Recuperare e rivitalizzare il tessuto edilizio contribuisce inoltre a non aumentare l’ormai insostenibile consumo del suolo e a un ridisegno dei centri abitati attento al benessere dei cittadini. Per salvaguardare l’ambiente è poi indispensabile liberare le città dalle automobili, o almeno ridurre il traffico in modo significativo. Un’esigenza sempre più sentita, che può essere favorita da un uso innovativo delle tecnologie digitali nel trasporto pubblico e privato.

Nuove tendenze
La tipologia di città di matrice americana fondata sull’automobile, ancora oggi prevalente a livello globale, mostra da tempo segni di crisi così come la forma di organizzazione a lei inscindibilmente legata attraverso la divisione del territorio in aree specializzate, il pendolarismo, l’inquinamento, la necessità di creare sempre nuovi parcheggi che sottraggono spazio vitale al territorio con le conseguenti carenze sul piano della coesione sociale e del benessere individuale. Città come Barcellona con le Superilles, Parigi con i servizi essenziali raggiungibili in soli quindici minuti e Tokyo si pongono a modello di un modo diverso di concepire e vivere i centri abitati. Nelle zone residenziali della capitale nipponica, una delle metropoli più grandi del mondo, il traffico è quasi inesistente, le poche auto sono silenziose e di piccole dimensioni. Si usano prevalentemente i mezzi pubblici, meno cari e più semplici da utilizzare rispetto a quelli privati, oppure si sceglie di andare a piedi e in bicicletta. I fattori che riducono fortemente l’uso delle automobili sono soprattutto economici a causa dell’impossibilità di posteggiarle in strada, l’obbligo di avere un posto in cui parcheggiarle, l’elevato costo dei garage e delle pratiche amministrative.

Modello asiatico
Negli anni della ricostruzione dopo la fine della seconda guerra mondiale il Giappone, a differenza degli altri paesi sviluppati, ha investito maggiormente nella rete ferroviaria e metropolitana rispetto a strade e autostrade. Una scelta seguita anche da altre metropoli asiatiche come Hong Kong e Singapore, che sono riuscite così a evitare molti problemi che rendono difficile il futuro di numerose città occidentali. Come scrive Daniel Knowles nel suo libro Carmageddon: How Cars Make Life Worse and What to Do About It (Harry N. Abrams, pp. 248, 32,90 euro, eBook 7 euro): “Replicare il modello asiatico in Europa, America o Australia non sarà facile. Abbiamo tante di quelle macchine sulle nostre strade che imporre limiti simili alla proprietà dell’auto quasi sicuramente sarebbe un fallimento in partenza… Eppure Tokyo merita attenzione perché dimostra che nella vita quotidiana non servono molte auto. È la prova che città enormi possono funzionare bene senza essere gravate dal traffico… Si dice spesso che Londra o New York sono troppo affollate, ma non è vero. Sono troppo affollate solo se si ritiene normale che le persone abbiano bisogno di spazio non solo per sé, ma anche per le due tonnellate di metallo che usano per spostarsi”.

Architettura sociale
Con la mostra The Laboratory of the Future, l’architetta e scrittrice di origine ganese Lesley Lokko, curatrice della Biennale Architettura 2023, ha posto per la prima volta lo sguardo in modo quasi esclusivo sulle Afriche e sulle diaspore africane, per sottolineare l’importanza crescente di un continente e di un insieme di culture emergenti dalle radici antiche. Un invito a cambiare il nostro punto di vista troppo focalizzato sulla cultura occidentale. “Nell’architettura”, ha dichiarato al Corriere della Sera del 22 febbraio 2023: “manca il riconoscimento di chi sia il noi perché fino a oggi c’è stata una voce esclusiva, che ignora parte dell’umanità. L’architettura ha parlato una sola lingua e la sua storia è incompleta. È il momento di cambiare e riraccontare questa storia. Questo è il terreno sul quale costruire il cambiamento”. L’architetto burkinabé Diébédo Francis Kéré, il primo africano cui nel 2022 è stato assegnato il prestigioso Premio Pritzker, è uno dei progettisti che meglio esprimono il mutamento in atto attraverso un lavoro molto attento all’ambiente e basato sul recupero delle pratiche costruttive tradizionali, ma contemporaneamente rivolto al futuro, e sull’impegno costante nella promozione dei valori sociali e democratici. I suoi edifici in mattoni di terra cruda, con coperture pensate per proteggere dal caldo intenso e dalle piogge, torri eoliche, illuminazione indiretta, ventilazione trasversale, con spazi pubblici ombreggiati e strutture portanti che si possono montare senza gru, sono elementi fondamentali per il miglioramento del benessere e dell’arricchimento culturale di interi villaggi che si trovano soprattutto in paesi politicamente instabili, con difficoltà di sviluppo e condizioni di vita particolarmente penalizzanti per la popolazione più svantaggiata. Il recupero dei materiali primari come il legno e l’argilla segna anche il lavoro della nuova generazione di architetti senegalesi che prediligono l’uso dei materiali più semplici ed economici. Gli edifici sono generalmente di piccole dimensioni e collegati tra loro con spazi comuni dove le persone possono incontrarsi. La loro costruzione è definita dall’uso prevalente di strutture ad arco parabolico, che si ripetono con alcune varianti, realizzate con centine di legno e blocchi di argilla compressa, in modo da uniformare il più possibile il processo edilizio per facilitare la costruzione e l’impiego di manodopera locale anche non specializzata e incentivare così l’economia del territorio.

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“Per l’architetto Alejandro Aravena l’ambiente urbano deve trovare un equilibrio tra spazio pubblico e privato, verde e democrazia partecipativa”

“Con progetti urbani strategici per infrastrutture, spazi e trasporti pubblici, “si può aumentare la qualità della vita in tempi piuttosto brevi”

“Per il miglioramento dell’ambiente urbano sarà necessario progettare edifici che riducano i consumi e siano anche in grado di produrre energia”

“Con il refitting si contribuisce al miglioramento e all’adeguamento delle abitazioni dei centri storici e deli edifici industriali abbandonati”

“Nelle zone residenziali di Tokyo non si possono posteggiare le auto in strada ed è obbligatorio avere un posto in cui poterle parcheggiare”

“Il recupero delle pratiche costruttive tradizionali e dei materiali primari contribuisce ad aumentare il benessere dei villaggi del Sud del mondo”

Jean Tinguely, “Ballet des Pauvres”, 1961 ⓒMuseum Tanguely, Basel, Jean Tinguely by SIAE, 2023, foto: Serge Hasenböhler. Dalla mostra “Jean Tinguely”, Pirelli HangarBicocca, Milano.
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