Tra utopia e realtà

Nel 1941, uno degli anni più drammatici della storia del Novecento segnata dall’attacco del Giappone agli Stati uniti a Pearl Harbor con conseguente entrata degli Usa nel secondo conflitto mondiale, dalla dichiarazione di guerra di Germania e Italia agli Stati uniti e dall’inizio dell’eliminazione degli ebrei del ghetto di Lodz nel campo di sterminio polacco di Chelmo, mentre la maggior parte degli stati europei era sotto il dominio di regimi autoritari o fascisti, le truppe naziste avevano occupato la Francia e avevano iniziato l’Operazione Barbarossa con l’obiettivo di conquistare l’Unione sovietica, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, costretti dal regime fascista al confino dell’isola di Ventotene, scrivono clandestinamente con la collaborazione di Eugenio Colorni, curatore della prima edizione, e il contributo di Hursula Hirschnann il Manifesto di Ventotene intitolato originariamente Per un’Europa libera e unita, in cui hanno definito il progetto di un’unione di stati, federalista e democratica, basata su una Costituzione europea e un Parlamento con poteri sovrani nella politica economica ed estera. Spinelli, il principale autore del Manifesto, ha cercato in due successive occasioni ma senza successo di realizzare una Costituzione europea. Il primo tentativo del 1954 è stato infatti bloccato dall’Assemblea nazionale francese, mentre il secondo nel 1984 è stato respinto dal Regno unito nonostante fosse stato approvato dal Parlamento europeo. Invece di una Costituzione europea gli stati hanno sottoscritto nel 2007 il Trattato di Lisbona, un accordo intergovernativo che regola il processo di integrazione europeo.

Unione al bivio
Se il progetto di Spinelli era stato democraticamente elaborato e approvato dal Parlamento europeo, quello del Trattato di Lisbona si è rivelato un accordo tipicamente burocratico tra i diversi governi, caratterizzato da negoziati e compromessi. Come sottolinea Fernanda Gallo, docente di Storia del Mediterraneo del XIX secolo, ricercatrice e direttrice degli studi di storia e politica all’Homerton College dell’Università di Cambridge (Regno unito) sulla rivista no profit online Aeon nel suo articolo A United States of Europe: “The 1993 establishment of the European Union (EU) did not resolve the tension between a technocratic and a democratic Europe, and the advent of a European constitution is still more a dream than a concrete political project. In reality, the EU remains at the crossroads between the ‘Europe of the people’ and the ‘Europe of the governments’” (Nel 1993 la creazione dell’Unione europea non ha risolto la tensione tra l’Europa democratica e l’Europa tecnocratica. La nascita di una Costituzione europea è ancora più un sogno che un progetto politico concreto e, di conseguenza, l’Ue resta al bivio tra l’“Europa dei popoli” e l’“Europa dei governi”). Dal Trattato di Roma che ha istituito nel 1957 la Comunità economica europea (CEE) agli accordi successivi tra cui quelli di Maastrich (1992) e Lisbona, gli aspetti economici dell’integrazione europea si sono sempre più separati da quelli politici fino alla complessa e confusa situazione attuale. Ricordare le origini dell’idea di Stati uniti d’Europa e mettere a confronto punti di vista diversi può aiutare a comprendere meglio il significato di questo progetto, a valutare le prospettive future e a trovare possibili risposte per la sua realizzazione. Per Fernanda Gallo il modello di Spinelli rappresenta l’eredità più compiuta dell’intenso e innovativo lavoro di un gruppo di politici radicali italiani del XIX secolo, che per primi hanno dato forma a un concetto di Stati uniti d’Europa fondato sulla libertà e la solidarietà tra i popoli europei. 

Un itinerario lungo e contrastato 
Questi progetti nati soprattutto nella prima metà del XIX secolo quando l’Italia non esisteva ancora come stato nazionale, aspiravano a una nazione unita e indipendente all’interno di un più ampio e armonico progetto di federazione europea, che il repubblicano Giuseppe Mazzini definiva “L’Europa dei popoli” e contrapponeva all’Europa delle teste coronate, il nuovo ordine emerso dopo il Congresso di Vienna del 1814-15. Come ricorda Gallo: “A ‘Europe of the peoples’ was a continent of citizens instead of subjects, of rights instead of treaties, of assemblies instead of monarchies, of political participation instead of economic regulation” (Un’Europa dei popoli era un continente di cittadini e non di sudditi, dei diritti e non dei trattati, di assemblee e non di monarchie, di partecipazione politica e non di regolamentazione economica”). Oltre a Mazzini (1805-72), Gallo identifica in Cristina Trivulzio di Belgiojoso (1808-71) e Carlo Cattaneo (1801-69) gli altri esponenti radicali italiani che per primi hanno creduto e lottato per realizzare l’idea degli Stati uniti d’Europa. 

Federazioni di stati e città 
Segnati dall’esperienza dell’esilio, dentro o fuori dagli attuali confini europei, perseguitati a causa delle loro convinzioni politiche, Giuseppe Mazzini, Cristina Trivulzio di Belgiojoso e Carlo Cattaneo hanno coltivato il progetto di un’Italia unita e indipendente insieme a quello di una federazione di stati europei, che comprendeva l’Europa orientale e la Turchia. Tra le loro realizzazioni più significative e in anticipo sui tempi ricordiamo la Giovine Europa, l’associazione politica creata da Mazzini nel 1834 a Berna, una delle prime formazioni politiche transnazionali, che aspirava alla formazione di un nuovo ordine politico fondato su democrazia e autodeterminazione delle nazioni. Se il  progetto federalista di Mazzini si basava sull’idea che i movimenti nazionalisti europei dopo aver raggiunto la democrazia avrebbero costituito le fondamenta per una “santa alleanza” di popoli liberi contrapposta a quella delle monarchie ed estesa all’Europa orientale, la visione della giornalista e scrittrice Trivulzio di Belgiojoso, che ha vissuto l’ultima parte della sua vita in Turchia, è stata rivolta a un’Europa unita e democratica in cui le donne dopo aver raggiunto l’autodeterminazione personale avrebbero avuto gli stessi diritti degli uomini. Cattaneo, tra i maggiori esponenti del pensiero repubblicano federalista, ha invece sostenuto il progetto di una federazione basata sulle autonomie locali, definita “Europa delle città”, idea sviluppata attraverso il confronto con le organizzazioni urbane presenti in Asia.

Dalla polis ai comuni
A differenza di Mazzini che ambiva a un’Italia unita e repubblicana con un governo centrale, Cattaneo mirava a un’unificazione basata sul decentramento e l’autonomia dei comuni, fondamentali antidoti alla tirannia e al potere dispotico. Per Cattaneo, che sottolineava la stretta relazione tra l’autogestione, lo stato di diritto e il rispetto della persona, le forme di governo centralizzate e verticistiche alimentano infatti le possibilità di conflitto. Il pensatore lombardo riteneva che la polis dell’antica Grecia, la rete dei centri abitati della Repubblica romana e i comuni italiani del Medioevo siano state le espressioni più alte e compiute della città europea, intesa come organizzazione politica, istituzionale e urbana della vita pubblica, a differenza dei sistemi territoriali dell’estremo oriente dominati da grandi capitali senza connessioni con il territorio e, di conseguenza, dalla mancata unità tra città e campagna. Se la polis autogestita era il principio che distingueva l’Europa dall’Asia, l’ordine municipale, le leggi e la dignità dei cittadini erano al centro della sua idea di “Europa delle città”, una vasta regione in cui gli Stati uniti d’Italia avrebbero convissuto e condiviso gli stessi valori con gli Stati uniti d’Europa. Il suo modello di riferimento erano gli Stati uniti d’America, in opposizione a quelli dell’Inghilterra che aveva oppresso e annesso la Scozia e l’Irlanda, e della Russia che aveva sottomesso la Polonia. Anche se Cattaneo aspirava a un’Europa delle città più che a un’Europa dei popoli, come invece immaginavano Mazzini e Belgiojoso, erano però tutti concordi nel ritenere che un’Italia unita e libera potesse costituire un disegno politico efficace e duraturo solo all’interno di una federazione di Stati europei, dove le diverse identità avrebbero avuto una casa comune. Come l’esperienza dell’esilio ha contribuito all’europeizzazione anche se in modi diversi delle élite intellettuali e politiche italiane del XIX secolo, così la condivisione del confino ha alimentato lo scambio di idee ed esperienze tra Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni ed Hursula Hirschnann confluite nel Manifesto di Ventotene negli anni Quaranta del Novecento durante la seconda guerra mondiale. Progetto approfondito nel 1957 da Altiero Spinelli con il Manifesto dei federalisti europei dopo la formazione nel 1951 della Comunità del carbone e dell’acciaio, il fallimento della difesa comune europea e la creazione nel 1957 della Comunità economica europea, definita da Spinelli “un gigantesco imbroglio”. Nel Manifesto Spinelli attacca le politiche delle istituzioni e ribadisce che: “Il pensiero politico del federalismo europeo è tanto più urgente, in quanto il suo contenuto è assai poco noto. Quantunque infatti implichi una critica profonda di tutta la vita politica europea contemporanea, l’opinione pubblica lo confonde facilmente con quella roba insipida e incoerente che è l’europeismo ufficiale e ufficioso”. 

Verso una patria europea 
Le idee di Spinelli hanno trovato un importante sostenitore in Marco Pannella, storico leader del Partito Radicale, deputato europeo dalla prima legislatura nel 1979, che si è sempre battuto per una difesa, un esercito, una diplomazia, un ministero del tesoro e una gestione del debito pubblico federali, per l’abolizione del Meccanismo europeo di stabilità, una diversa politica di aiuti allo sviluppo e l’abolizione delle misure protezioniste fino al 2009 quando ha denunciato con grande amarezza la difficoltà di superare il metodo intergovernativo dell’Unione europea a vantaggio dell’alternativa federalista più favorevole non solo dal punto di vista istituzionale ma anche da quello etico ed economico: “Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch’io da trent’anni sono qui come lei, ma forse il bilancio che possiamo fare di questi trent’anni non è quello che ci auguravamo quando, in questo Parlamento nell’85, facevamo un salto di qualità contro una vecchia e fallita Europa delle patrie per marciare verso gli Stati uniti d’Europa. Oggi siamo tornati di nuovo verso quell’infausto passato – Europa delle patrie ma non patria europea – e dentro il nostro recinto, e i popoli attorno che ci salutavano come grande speranza… condanneranno una volta di più il fatto che noi stiamo rappresentando, con una metamorfosi del male, quel male contro cui eravamo sorti e ci eravamo illusi di vincere”. Nonostante le successive discese in campo insieme a Emma Bonino per “Una patria europea contro l’Europa delle patrie” fino al mancato tentativo di Bonino di riproporre nel 2024 la lista Stati uniti d’Europa con una improbabile “intesa di scopo” formata da diversi partiti, gli Stati uniti d’Europa costituiscono ancora oggi la metafora di un sogno non realizzato o forse irrealizzabile. 

Progetto indefinito 
Per Lucio Caracciolo, fondatore e direttore della rivista di geopolitica Limes, il filone dell’europeismo che ispira le architetture dell’eurocrazia di Bruxelles rappresenta, come scrive in La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa(Feltrinelli, pp. 144, 16 euro) la “compensazione della retrocessione delle potenze europee da dominanti a suffraganee dell’egemone a stelle e strisce”. Caracciolo, dopo aver ricordato la celebre frase del fondatore della moderna idea di Europa, il conte Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi nel suo libro Pan – Europa. Un grande progetto per l’Europaunita (Il Cerchio, pp. 176, 18 euro): “Ogni grande avvenimento storico cominciò come utopia e terminò in realtà”, afferma: “Paradosso vuole che l’aristocratico austro-ungaricco… postulasse questa legge proprio mentre l’Europa reale, ovvero l’insieme delle sue potenze, si avviava a chiudere il suo quadrisecolare ciclo da perno del globo autoaffondandosi nelle due guerre mondiali… La realtà aveva terminato l’Europa. La sua utopia non poteva che nascere morta”. Secondo Caracciolo il Manifesto di Ventotene, nonostante le differenti radici politiche e ideologiche (liberale e con accenti socialdemocratici quelle del conte Kalergi, socialiste e libertarie alla ricerca di una terza via tra capitalismo e comunismo quelle di Spinelli, Rossi e Colorni) ha in comune con Pan-Europa “il fervore di chi rifiuta lo stato presente delle cose in nome di un ideale urgente, per virare il corso della storia nel senso del progresso che non può attendere… La vaghezza della sostanza degli Stati Uniti d’Europa consente di coagulare attorno a tale parola d’ordine personalità e aggregazioni eterogene”. Secondo il direttore di Limes gli Stati uniti d’Europa sono quindi un progetto indefinito, “a meno di non ammettere una disposizione al suicidio degli Stati nazionali che dovrebbero far luogo all’Europa unita, la rottura traumatica dell’ordine esistente è inevitabile. Favorita allora dalla guerra mondiale. Oggi e domani, da qualche altra crisi, sperabilmente non bellica”.

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“Nel 1941, uno degli anni più drammatici della storia del 900, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi scrivono clandestinamente il Manifesto di Ventotene”.

“Il lavoro di Spinelli raccoglie l’eredità di alcuni politici italiani del XIX secolo, che per primi hanno dato forma al concetto di Stati uniti d’Europa”.

“In modi diversi Mazzini, Trivulzio di Belgiojoso e Cattaneo hanno pensato a un’Italia unita e indipendente in una federazione di Stati europei”

“Le idee di Spinelli hanno trovato un importante sostenitore in Marco Pannella, che si è sempre battuto per un’Europa autenticamente federale”.

“Una Costituzione europea è ancora più un sogno che un progetto concreto e l’Ue resta al bivio tra l’“Europa dei popoli” e l’“Europa dei governi”.

“Resta da percorrere un itinerario difficile che potrebbe portare alla rottura traumatica dell’ordine esistente con conseguenze imprevedibili”.

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L’IMPORTANZA DI UN’IDENTITÀ COMUNE
La formazione di una coscienza europea attraverso lo scambio delle culture 

Dai sei stati fondatori nel 1951 della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Francia, Germania occidentale, Italia, Belgio, Paesi bassi, Lussemburgo) ai 27 che compongono attualmente l’Unione europea alla sempre più concreta la possibilità di superare largamente il numero di 30 dopo il previsto allargamento ad altre nazioni come Albania, Bosnia ed Ezegovina, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Ucraina cui forse si aggiungerà la Turchia. In un contesto così ampio e frammentato sarà sempre più indispensabile tutelare la storia, la cultura e la lingua di ogni stato appartenente all’Ue perché solo se ogni nazione avrà la consapevolezza della propria impronta culturale e se questa sarà parte del patrimonio collettivo europeo si potrà formare e consolidare nei cittadini la coscienza di un’identità partecipata e delle profonde radici che li uniscono, premesse indispensabili per progettare un futuro condiviso nonostante la mancanza di una lingua comune. Federico Poggianti nell’articolo Come Bruxelles condiziona la ricerca (https://www.rivistailmulino.it/a/come-bruxelles-condiziona-la-ricerca) apparso nel 2024 sulla rivista online di cultura e politica il Mulino dopo aver rilevato “la sempre maggiore importanza che la ricerca europea assume in tema di finanziamento e progressioni nella carriera universitaria”, ha sottolineato l’abissale distanza tra le materie scientifico-tecnologiche (Stem) e le discipline umanistiche. Nell’Unione europea, fino al 2000 le uniche sovvenzionate erano quelle nel campo delle materie tecnoscientifiche e solamente in seguito sono state ammesse anche quelle di altre materie (Ssh), ma con una prevalenza schiacciante per le prime, che ricevono il novantotto per cento dei finanziamenti. La distribuzione dei fondi del rimanente due per cento comprende inoltre sia le scienze sociali (sociologie, psicologia, economia) sia le discipline umanistiche vere e proprie con un assoluto dominio di quelle sociali. Un trattamento così sfavorevole per le Humanities è causato dall’apprezzamento molto scarso nei confronti delle letterature, delle filologie, della storia, della storia dell’arte, della filosofia, del diritto, delle filologie e della linguistica dovuto soprattutto a una utopistica visione paneuropea a scapito delle culture nazionali di cui le discipline umanistiche costituiscono la massima espressione, elementi essenziali per formare un’autentica identità comune”. 

Yukinori Yanagi, The World Flag Ant Farm, 1990, Naoshima Contemporary Art Museum, Benesse House (Isola di Naoshima, Giappone), Courtesy ⓒYanagi Studio, foto: Yanagi Studio. Dalla mostra Yukinori Yanagi, Pirelli HangarBicocca, Milano dal 27 marzo al 27 luglio 2025.

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