Liberalismo vs capitalismo?

Se in Una teoria della giustizia, considerata l’opera di filosofia politica forse più importante e influente del secondo Novecento (Feltrinelli, pp. 574, 18 euro), Rawls critica l’idea delle pari opportunità perché non considera nella giusta misura le disuguaglianze immeritate, e quindi arbitrarie, dovute alla nascita o ai talenti naturali, cui contrappone una giustizia distributiva equa (legittima per tutte le parti) con un sistema di governo che possa sostenere soprattutto i più sfavoriti, concetti poi ribaditi nel successivo Giustizia come equità (Feltrinelli, pp. XVIII-241, 28 euro, eBook 19,99 euro). In Liberalismo politico (Einaudi, pp. LV-486, 28 euro) lo studioso americano si pone l’interrogativo di come “una società bene ordinata”, stabile e omogenea nelle sue convinzioni morali da lui ipotizzata possa affermarsi in una collettività di cittadini liberi e uguali, ma separati riguardo alla religione e alle culture filosofiche e morali, in modo da riuscire a superare le maggiori differenze. Nonostante la difficoltà di arrivare a un progetto comune fra persone così fortemente divise, Rawls ritiene che sia possibile raggiungere una “collaborazione giusta”, anche tra cittadini di diversi paesi, attraverso una nuova idea di capitalismo, non più esclusivamente basata su produzione e denaro, ma particolarmente attenta agli interessi e alle esigenze di una società sempre più pluralista, alla tutela e alla valorizzazione dell’ambiente, ma soprattutto impegnata nella costante riduzione delle differenze in campo economico e sociale, con particolare riguardo ai bisogni e alle aspettative delle persone più svantaggiate.

Una pietra miliare
Nel 1980 con un esemplare suggerimento riguardo alla chiusura del centro siderurgico della U.S. Steel Corporation di Youngstown in Ohio e il conseguente licenziamento di tremilacinquecento lavoratori, il giudice federale Thomas Demetrios Lambros, pioniere dell’Alternative Dispute Resolution, un istituto per la composizione delle dispute legali al di fuori dei processi, ha segnato un’epoca e si è rivelato una pietra miliare nel campo della filosofia del diritto del lavoro. Dato che la causa intentata dai dipendenti contro l’azienda per obbligarla a venderla alla città o ai lavoratori stessi, che con prestiti federali avrebbero probabilmente potuto continuare a gestire l’impianto e a sostenere le loro famiglie, aveva poche possibilità di essere accolta, il giudice Lambros diede ai legali che difendevano i dipendenti un suggerimento rivoluzionario per quel momento storico,: “Ey might have a shot if they argued that the people of Youngstown had a ‘community property right’ accrued from the ‘lengthy, long-established relationship between United States Steel, the steel industry as an institution, the community in Youngstown, the people of Mahoning County, and the Mahoning Valley in having given and devoted their lives to this industry” (Potreste avere la possibilità di vincere la causa se riuscirete ad avvalorare l’idea che la cittadinanza di Youngstown ha un “diritto di proprietà collettiva” dovuto al “lungo e consolidato rapporto tra la United Staates Steel, industria siderurgica considerata come un’istituzione locale, la comunità di Youngstown, la gente della contea di Mahoning e della Mahoning Valley per aver dedicato la propria esistenza a questa industria”). Dato che la produzione di acciaio era diventata una parte centrale della vita sociale, la collettività poteva forse avere il diritto di prendere una decisione sul futuro dell’acciaieria, ma il giudice Lambros dovette alla fine riconoscere che la legge statunitense (allora come adesso) non riconosceva tale diritto e la fabbrica chiuse definitivamente. Il comportamento ambivalente del giudice Lambros riflette, come suggerisce il filosofo e studioso di diritto Colin Bradley sul magazine digitale no profit Aeon, nel suo articolo What can we learn from John Rawls’s critique of capitalism?(https://aeon.co/essays/what-can-we-learn-from-john-rawlss-critique-of-capitalism), “a contradiction that seems to lie at the heart of liberalism. On the one hand, the promise of a liberal society is of a society of equals… On the other hand, liberalism is usually uttered in the same breath as capitalism… this means that, just as I get to decide what to do with what I own… So did the legal entity US Steel get to decide what to do with what it owned: the Youngstown Works” (una contraddizione che sembra appartenere all’essenza del capitalismo. Da un lato, la promessa di una società liberale è basata sull’uguaglianza… dall’altro, il liberalismo è intimamente legato con il capitalismo… Questo significa che, così come posso decidere cosa fare con ciò che possiedo… così U.S. Steel ha potuto decidere cosa fare con lo stabilimento di Youngstown).

Declino di un’egemonia
In una società divisa in classi come la nostra, tra chi possiede le tecnologie e i mezzi di produzione a chi fornisce un lavoro in cambio di un compenso, i detentori dei capitali oltre a prendere le decisioni nel campo degli investimenti che vincolano non solo i mercati finanziari, ma anche le scelte e le priorità dei governi, possono persino condizionare le scelte private dei propri dipendenti. Di conseguenza, sottolinea Bradley, “Given liberalism’s defence of the capitalists’ rights to do all this, it is hard to see how liberalism might reliably achieve its goal of bringing about a society of equals in which we all have a share in our collective governance. Hence the contradiction at its heart, and Judge Lambros’s ambivalence” (Dato che il liberalismo difende il diritto dei capitalisti di poter fare tutto questo, è difficile capire come possa raggiungere in modo affidabile il suo obiettivo di realizzare una società di uguali in cui tutti possono partecipare a una gestione collettiva. Da questa essenziale contraddizione deriva l’atteggiamento ambiguo del giudice Lambros). Nell’attuale momento storico in cui l’egemonia del liberalismo è contestata dai movimenti autoritari e dalle “democrazie illiberali”, sono numerose le critiche al liberalismo da sinistra e da destra. Da una parte si pensa che non sia più in grado di andare alla radice dei problemi e utilizzi le risorse dello stato per incrementare il profitto privato, dall’altra si auspica una politica industriale a favore di settori ormai in declino.

Equità e giustizia
Per Sebastiano Maffettone, docente di Filosofia politica all’Università LUISS Guido Carli di Roma, che ha introdotto il pensiero di John Rawls in Italia “la liberaldemocrazia ha perso il suo primato ontologico, l’economia è cambiata e c’è stata la rivoluzione digitale”, però “la proposta liberaldemocratica basata sui principi di libertà e uguaglianza è tuttora importante”, come ha dichiarato in un’intervista a cura della Sezione di pensiero politico della Treccani (https://www.treccani.it/magazine/agenda/articoli/pensiero-politico/Maffettone.html). Resta comunque aperto il dibattito sulle iniziative utili per superare la dicotomia fra libertà individuali ed equità sociale, che esclude la possibilità di una diversa forma di liberalismo. Un traguardo che può essere raggiunto con la realizzazione di un nuovo “anticapitalismo liberale”, idea basata su un apparente ossimoro in cui vengono rimodulate in chiave critica le fondamenta stesse dell’economia politica. Come afferma John Rawls, anche le esperienze di capitalismo più attente al benessere generale attraverso un welfare diffuso sono incompatibili con l’obiettivo principale del liberalismo, fondato sulla creazione di una società di persone che vivono insieme in una collettività imperniata sul principio di uguaglianza. Per Rawls il liberalismo è quella “struttura di base” della società che deve comprendere l’interazione di tutte le istituzioni essenziali, non solo quelle politiche a iniziare dalle costituzioni, ma anche le leggi di mercato e sulla proprietà. Rawls sottolinea l’importanza con cui viene organizzata la creazione di beni e servizi e si focalizza sulle disuguaglianze che derivano dal controllo da parte di un gruppo ristretto di detentori della ricchezza con il potere di definire i modi di produzione. Sostiene inoltre l’impossibilità di far coincidere le diverse forme di capitalismo con l’uguaglianza sociale. Il liberalismo deve quindi tendere alla realizzazione di due ideali, una società espressione di un equilibrato sistema di cooperazione tra i suoi diversi componenti e la formazione di persone libere e uguali disposte a cooperare tra loro. Uno scopo che è possibile raggiungere attraverso il miglioramento costante delle attuali strutture politiche ed economiche secondo i fondamenti di libertà e giustizia. L’“anticapitalismo liberale” di Rawls prende di mira il capitalismo perché produce una società basata sulle classi e la divisione del lavoro e ricorda che riforme del sistema su cui si regge difficilmente potranno andare a buon fine se vengono meno le opportunità di migliorare la propria posizione sociale a causa del luogo, della famiglia di nascita, all’appartenenza a un’etnia, a un genere, in seguito a una disabilità o a qualunque altro motivo che favorisca qualcuno rispetto ad altri, ma è invece possibile se si crea uno stato sociale che garantisce a tutti uguali possibilità con degli investimenti importanti nel campo dell’istruzione e della sanità.

Denaro e potere
Rawls precisa che se anche la società riuscisse a realizzare compiutamente le pari opportunità non potrebbe comunque concretizzare l’ideale di  una effettiva uguaglianza ed introduce il concetto di “reciprocità”, una condizione in cui ci riconosciamo e veniamo identificati da ogni persona come membri attivi e pienamente partecipi del miglioramento della collettività su un piano di parità e status con tutti gli altri cittadini, mentre nell’attuale sistema capitalistico questa opportunità è riservata solo a chi detiene il denaro e di conseguenza il maggiore potere. Scrive Ralws: “This makes it hard for workers to see themselves as active participants in directing society because, well, they aren’t, with the limited exception of voting in a ballot every few years” (Questo rende difficile ai lavoratori considerarsi partecipanti attivi a vantaggio della società dato che in realtà non lo sono, con la limitata eccezione di poter votare ogni tanto). Nel sistema capitalistico chi prende le decisioni determinanti ha infatti degli interessi divergenti da quelli dei lavoratori e detiene un vero e proprio dominio. Come evidenzia Rawls in Justice as Fairness. A Restatement (Belknap Pr, pp. 214, 30,95 euro, eBook 22,80 euro, traduzione italiana Giustizia come equità. Una riformulazione, Feltrinelli, pp, XVIII-241), un saggio pubblicato agli inizi degli anni Duemila, nato dalle lezioni del corso di filosofia politica tenuto negli anni Ottanta alla Harvard University in cui porta a compimento il suo pensiero ed esplora delle situazioni sulla giustizia come equità mai affrontate prima, questa condizione di inferiorità può portare ad “attitudes of deference and servility” (a comportamenti di deferenza e sottomissione) e contrasta radicalmente con i principi liberali.

Contro le oligarchie
Numerosi politologi sostengono che per le democrazie avanzate come gli Stati uniti e l’Unione europea sarebbe forse preferibile usare il termine oligarchie dato che le loro politiche si allontanano sempre di più dagli interessi delle classi meno abbienti e non sono coerenti con il valore liberale fondamentale della libertà politica. Questo concetto, ribadito dall’economista francese Thomas Piketty nel suo libro più famoso e influente Il capitale nel XXI secolo (Bompiani, pp. 960, 17 euro, eBook 8,99 euro) in cui afferma che le società capitaliste si dirigono verso l’oligarchia, è stato anticipato da Rawls che ha più volte dichiarato che la disuguaglianza politica e quella economica tendono ad andare di pari passo e, di conseguenza, i ceti dominanti cercano di mantenere una posizione privilegiata con una serie di azioni che contrastano profondamente con il liberalismo tra cui le leggi sullo stato di diritto e sulla proprietà, un apparato di potere che garantisce loro la supremazia economica e politica attraverso l’egemonia sull’informazione, la corruzione, oltre alla minaccia di trasferire i loro capitali all’estero. Rawls sottolinea poi che per contrastare queste tendenze è urgente prevenire le eccessive concentrazioni di proprietà e ricchezza, limitare l’uso del denaro in politica, ma soprattutto cercare di evitare una eccessiva divisione tra detentori e non dei capitali con l’introduzione di significative tasse sulla ricchezza e sulla successione, la realizzazione di un generoso stato sociale, un’istruzione capillare e la formazione di un ampio e consapevole “capitale umano”. Grazie alla definizione di “anticapitalismo liberale”, Rawls ha tracciato così un nuovo orientamento morale e un itinerario non convenzionale che prefigura possibili, più decentrate forme di produzione coerenti con i valori liberali fondamentali di uguaglianza e libertà in cui si auspica la creazione di una ricchezza più equa e meglio distribuita, per esempio attraverso numerose reti di economia partecipativa che favoriscano un benessere costante e diffuso.
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“Alle pari opportunità, che trascurano le disuguaglianze immeritate, Rawls contrappone una giustizia distributiva a favore dei più svantaggiati”

“I detentori dei capitali, oltre a prendere decisioni che vincolano mercati e governi, possono anche condizionare le scelte di molti cittadini”

“Attraverso una nuova idea di capitalismo si può realizzare una ‘collaborazione giusta’ anche tra persone di diverse culture e differenti paesi”

“Il liberalismo deve tendere alla realizzazione di una società più giusta e alla formazione di cittadini liberi e uguali che cooperano tra loro”

“Rawls sostiene l’idea della ‘reciprocità’, un condizione in cui ognuno partecipa al miglioramento della collettività in condizione di parità”

“Per superare le disuguaglianze è indispensabile introdurre misure di tassazione sulle grandi ricchezze e realizzare un generoso stato sociale”
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DEMOCRAZIA LIBERALE MA NON SOLO
Due alternative (im)possibili alla forma di governo più emblematica dei paesi occidentali 

La celebre frase di Winston Churchill: “La democrazia è la peggiore forma di governo tranne tutte le altre che sono state provate”, pronunciata dal primo ministro del Regno unito alla metà degli anni Quaranta del Novecento, è ancora oggi valida e vitale? Jerediah Purdy, filosofo e docente di diritto alla Duke University School of Law nel suo libro Two Cheers for Politics. Why Democracy Is Flawed, Frightening – and Our Best Hope (Basic Books, pp. 304, 30 dollari, eBook 17,99 euro) affronta il problema della crisi della democrazia e del parallelo declino della politica. Ci mostra come le decisioni che definiscono maggiormente le nostre vite e le nostre comunità vengono prese al di fuori dell’ambito politico e sono sempre più spesso influenzate dall’ideologia del mercato e da norme culturali con cui vengono escluse ampie fasce della popolazione e costituiscono la causa principale di una società sempre più diseguale e polarizzata. Secondo lo studioso americano, per ridare vigore alla democrazia dobbiamo recuperare il potere che abbiamo ceduto e ritornare a fare scelte condivise mediante una politica che ritrovi il suo significato più autentico al di là degli interessi economici delle élite. Purdy auspica il ritorno a forme di democrazia diretta ispirate a quella ateniese del V secolo a.C. dove i cittadini avevano gli stessi diritti, piena libertà di parola e tutti partecipavano alla vita politica. Anche se è bene ricordare che il voto prevedeva l’esclusione di donne, stranieri, schiavi e subiva la forte influenza dell’aristocrazia, il modello ateniese rappresenta comunque un esempio eccezionale di partecipazione alla vita pubblica, che coinvolgeva pienamente anche i cittadini meno abbienti. In Isonomia and the Origins of Philosophy (pp. 176, 24, 95 dollari) il filosofo giapponese Kojin Karatani afferma però che la democrazia mantiene una forma di subalternità tra chi governa e chi è governato e sostiene la superiorità dell’isonomia, una forma di governo basata sul principio di uguaglianza in cui tutti i cittadini sono posti sullo stesso piano, dove nessuno è “ruled or ruling” (dominante o dominato) e ritiene che questa forma di governo abbia avuto origine nei territori intorno alle isole Ionie nel VII e VI secolo a. C e quindi prima dell’ascesa di Atene. Due interessanti ipotesi da approfondire, ma democrazia la diretta e l’isonomia sono ancora forme di governo possibili o solo affascinanti utopie?

Giulio Paolini, In cornice, 2023. Dalla mostra A come Accademia all’Accademia Nazionale di San Luca, Palazzo Carpegna, Roma, 2023. Foto Andrea Veneri (particolare).

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