Max Weber e Tucidide, ritorno al futuro

Cent’anni fa, il 28 gennaio 1919, nell’atmosfera febbrile della nascita della Repubblica di Weimar e della democrazia liberale in Germania dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale, il grande sociologo ed economista tedesco Max Weber ha lasciato uno dei più importanti contributi alla teoria politica moderna, il suo testamento spirituale, con Politik als Beruf, tradotto con il titolo Politics as a Vocation in inglese e La politica come professione in italiano (Armando editore, pp. 128, 10 euro) che ci offre una mappa davvero preziosa per comprendere i contrasti, le difficoltà e le asimmetrie del panorama politico contemporaneo. Se facciamo un salto nel tempo di quasi duemilacinquecento anni incontriamo Tucidide, un altro testimone indispensabile per capire l’attuale situazione geopolitica.

Etica della responsabilità
Lo storico ateniese nel suo capolavoro La guerra del Peloponneso (Bur, Biblioteca universale Rizzoli, pp. 1509, 17 euro, con testo greco a fronte) scritto tra il 427 e il 411 a.C., pone l’accento sul diritto del più forte e sulla spietata logica del potere. Tucidide attraverso un’analisi lucida e disillusa descrive i meccanismi del dominio, mostra gli arbitri dei vincitori e la “giustizia” dei potenti, chiede diritti per i vinti e le classi sociali sottomesse. Ci mette inoltre in guardia dagli scontri che derivano dalla paura di perdere il primato da parte della potenza dominante (oggi gli Stati uniti) e considerare così ineluttabile lo scontro per contenere la potenza emergente (la Cina). Una condizione definita la “trappola di Tucidide” dal politologo americano Graham Allison, direttore della Harvard Kennedy School’s Belfer Center for Science and International Affairs nel suo libro Destined for war (Destinati alla guerra, Fazi editore, pp. 518, 25 euro, eBook 12,99 euro). Figura fondamentale della vita intellettuale tedesca del XX secolo e fondatore della moderna disciplina della sociologia, Weber in Politik als Beruf, discorso scritto per un’associazione di studenti liberali sui temi della leadership e della vita politica afferma che allo stato spetta l’uso legittimo della forza e che la politica è un’attività autonoma con imperativi imprescindibili, la quale si esprime attraverso la lotta incessante tra i leader e le élite dei partiti. I politici non seguono nessuna autorità morale e non hanno possibilità di agire senza fare patti con quelli che definisce i “poteri diabolici” e, di conseguenza, senza sporcarsi le mani. All’“etica della convinzione”, cioè quella di che segue esclusivamente i propri principi indipendentemente dalle loro conseguenze, Weber contrappone l’“etica della responsabilità”, la quale tiene presenti le conseguenze delle scelte e dei comportamenti che il politico e il suo gruppo di appartenenza mettono in atto, ma che per raggiungere i risultati prefissi richiede dei compromessi morali. In politica, di conseguenza, le buone azioni provocano nella maggior parte dei casi effetti dannosi, mentre iniziative moralmente discutibili possono ottenere risultati positivi per la collettività.

Rapporti tra partito e leader
Queste due etiche non sono in antitesi tra loro ma devono completarsi reciprocamente e costituire le basi di un autentico leader con la vocazione per la politica che, a differenza degli opportunisti, le cui azioni non portano mai risultati positivi, deve possedere tre qualità che gli consentono di affrontare ogni tipo di insidia, la passione per il governo della cosa pubblica, il senso della misura e quello della responsabilità. Weber riteneva che il destino della Germania fosse il punto imprescindibile della politica del suo tempo. Per diventare una nazione moderna dopo l’abdicazione della monarchia, doveva nascere una democrazia con un leader carismatico ma non autoritario con la vocazione per l’arte e la scienza del governo, capace di guidare un partito in grado di mobilitare gli elettori, a differenza di chi agiva solo per avere vantaggi con il sostegno di gruppi parlamentari dediti al proprio interesse. Con Politik als Beruf, diventato un classico della teoria politica dopo la sua traduzione in inglese e la pubblicazione negli Stati uniti negli anni seguenti la fine della seconda guerra mondiale, Weber porta a compimento i suoi studi sull’etica e le sue teorie sul difficile rapporto tra partiti e leadership, fondamentale nella tradizione della politica realista ritornata da alcuni anni al centro del dibattito contemporaneo. Le sue sorprendenti intuizioni ci aiutano a interpretare le dinamiche dei sistemi democratici in cui le élite lottano senza esclusione di colpi l’una contro l’altra e usano mezzi violenti per raggiungere i propri obiettivi. La sua acuta analisi della demagogia è inoltre estremamente utile per capire l’ascesa degli autoritarismi e il loro dominio carismatico sui partiti al loro servizio.

Idee e risposte concrete
I comportamenti di Putin, Orbán o Erdogan non lo avrebbero certamente stupito e non si sarebbe nemmeno sorpreso davanti alle frequenti affermazioni e cadute dei leader dei partiti di centro che si autoproclamano “responsabili”, ma che si sono semplicemente rivelati inadeguati in un momento storico instabile e frammentato come il nostro così diverso da quelli che ci hanno preceduto. Di fronte a un leader come Donald Trump avrebbe forse tenuto un atteggiamento incerto, tra la fascinazione, nonostante la sua forza negativa, nei confronti dell’impeto carismatico e l’avversione a idee e comportamenti sostenuti, anche se senza un autentico consenso, dal proprio partito. Politica come professione, che nel corso degli anni ha ricevuto numerose critiche in modo particolare dalle sinistre per la sua adesione, in realtà solo apparente, alle strutture del sistema politico e alla sua presunta incapacità di comprendere le possibilità di cambiamento radicale offerto dai flussi e riflussi della storia, continua a offrire risposte concrete e a indicare vie percorribili a chi vuole interpretare le dinamiche della politica così come sono realmente e non come si vorrebbe che fossero.

Conflitti e passioni
Nel terzo libro della Guerra del Peloponneso, mentre descrive lo scoppio della guerra civile nell’isola di Corcyra (oggi Corfù) nel 427 a.C., Tucidide ci ricorda come le contrapposizioni violente portano inevitabilmente alla vendetta dei vincitori nei confronti degli oppressori, contro chi non ha governato con saggezza, ai tentativi da parte di chi desidera sfuggire alla povertà di acquisire le proprietà dei vicini, alle lotte intestine e alle azioni spietate trascinate da impulsi ingovernabili tra le diverse fazioni. La sua interpretazione dei conflitti attraverso la comprensione delle passioni umane va molto oltre le fredde analisi politiche suggerite oggi da sondaggi e big data. La peste che colpisce Atene l’estate del 430 a.C. durante il secondo anno della guerra del Peloponneso quando la vittoria contro Sparta sembrava ancora possibile, segna l’inizio del declino ateniese pochi mesi dopo il discorso di commemorazione di chi aveva perduto la vita nel primo anno di guerra, in cui Pericle aveva esaltato i pregi della democrazia ateniese nel momento del suo massimo splendore, diventa per Tucidide il momento ideale per mostrare l’ambivalenza dei sentimenti e in particolare delle doti morali.

Realismo politico
Tucidide afferma che non è difficile agire in modo virtuoso nei momenti di prosperità attraverso il rispetto delle leggi, il controllo delle proprie azioni e il senso di responsabilità, qualità che avevano fatto di Atene un’eccezione e un esempio di democrazia, ma che questi comportamenti vengono abbandonati nelle difficoltà. In seguito alla peste e ai fallimenti morali e militari che ne sono conseguiti, la democrazia di Atene è collassata fino a diventare il teatro di una serie di iniquità senza precedenti. Chi riuscì a sopravvivere si preoccupò esclusivamente di soddisfare i piaceri del momento e di tutto quello che poteva alimentarli senza nessun rispetto e timore delle leggi divine e umane. Dopo la fine della peste, Atene pensò che la supremazia politica e il primato nella tecnica militare potessero giustificare il suo programma di espansione imperiale e lanciò una spedizione in Sicilia, che nonostante la superiorità numerica e la migliore organizzazione militare ebbe esiti disastrosi. Intrappolati in un territorio sconosciuto di cui ignoravano cultura e tradizioni, gli ateniesi subirono una disfatta militare che ne causò la rovina economica. Per Tucidide gli eventi del passato e le dinamiche dei conflitti devono essere di monito per il futuro perché la natura umana ha delle caratteristiche indelebili che si ripetono nel tempo, come dimostrano per esempio le azioni e le relative sconfitte di Napoleone e Hitler in Russia o le invasioni dell’Unione sovietica in Afghanistan e degli Stati uniti in Vietnam e Iraq. Tucidide non è stato solo il più grande storico dell’impero ateniese ma è ancora oggi una guida insuperabile per capire l’evoluzione della politica contemporanea.

__________________________________________________________________

“Per Weber i politici non seguono nessuna autorità morale e non hanno possibilità di agire senza sporcarsi le mani e fare patti con il potere” 

“Tucidide attraverso un’analisi lucida e disillusa descrive i meccanismi del dominio, mostra gli arbitri dei vincitori e chiede diritti per i vinti”

“Un vero leader deve avere secondo Weber tre qualità, la passione per il governo della cosa pubblica, il senso della misura e della responsabilità”

“Le contrapposizioni violente, ci ricorda Tucidide, portano inevitabilmente alle lotte intestine e alle lotte spietate tra le diverse fazioni”

“L’analisi di Weber della demagogia ci aiuta a capire l’ascesa degli autoritarismi e il loro dominio carismatico sui partiti al loro servizio”

“Per Tucidide gli eventi del passato e le dinamiche dei conflitti devono essere di monito per il futuro perché la natura umana è immutabile”

__________________________________________________________________


COSA CI INSEGNA LA GUERRA FREDDA
Il pensiero liberale può ritrovare una nuova vitalità solo se ritorna ai propri valori

Alla progressiva affermazione dei movimenti populisti e autoritari hanno fatto da contrappunto la crisi del pensiero liberale e la parallela difficoltà dei partiti di centro, che troppo spesso per cercare di limitare la perdita di consenso hanno inseguito senza successo le proposte dei populisti (esemplare il caso di Hillay Clinton con il suo cinico invito all’Unione europea di bloccare gli aiuti ai migranti) invece di rifarsi alle idee dei grandi teorici della “società aperta” come Karl Popper, Raymond Aron, Isaiah Berlin e Arthur Schlesinger Jr., molto attivi e influenti durante il periodo della guerra fredda. Una delle principali ragioni della loro esclusione dal dibattito odierno è che negli anni tra il 1947 e il 1991 si era sviluppato un autentico conflitto tra due ideologie con idee politiche e una concezione del mondo contrastanti con caratteri perfettamente delineati tra democrazia e utopia totalitaria, mentre oggi i populisti non hanno generalmente una filosofia ben definita e attaccano i loro oppositori in rappresentanza della cosiddetta maggioranza silenziosa della popolazione soprattutto sul piano dei programmi, su etica e corruzione. Orbán per esempio combatte nello stesso tempo sia le élite liberali sia le minoranze non allineate al suo pensiero politico, mentre Trump dichiara i suoi avversari sovversivi e antiamericani. Durante la guerra fredda i pensatori liberali si contrapponevano alle ideologie totalitarie e sostenevano il pluralismo culturale che non comprendeva solo gli interessi economici ma anche la ricchezza di idee e di valori umani alla base dei sistemi democratici. Se Popper e Berlin hanno sottolineato che uno stato fondato su un’utopia totalitaria non può realizzare i suoi progetti, inevitabilmente legati a ideali prestabiliti, senza tralasciare i diritti delle persone perché troppo spesso incompatibili e contrastanti con quei principi, Aron ha cercato di comprendere l’attrazione esercitata dal marxismo su molti intellettuali europei, ma ha contemporaneamente affermato la supremazia del pensiero liberale da Montesquieu a Weber sia sul piano economico sia su quello sociale e politico. Per riaffermare la sua attualità il pensiero liberale deve quindi ripensare i suoi valori e ritornare alle radici della propria identità, evitare le facili posizioni centriste basate su una falsa equivalenza dei populismi di destra e di sinistra, abbandonare l’idea che dopo il 1989, anno della caduta del muro di Berlino, i processi storici sono definiti e prevedibili e, come sottolineava Schlesinger, recuperare il concetto di legittimità del conflitto democratico, della contrapposizione delle idee e dei valori come garanzie di libertà.

Carmen Herrera, Equilibrio, 2012. © Carmen Herrera. Dalla mostra Epic Abstraction: Pollock to Herrera, Metropolitan Museum of Art, New York, 2018-19.

Stampa

Lascia un commento