Per un’azienda che basa le sue competenze e il proprio vantaggio competitivo sulla capacità di utilizzare tecnologie avanzate e sulla creatività, stabilire il luogo della propria sede o di un dipartimento di innovazione e ricerca sarà sempre più fondamentale la vicinanza a un’ampia rete di servizi e soprattutto a università, centri di ricerca, istituzioni educative e culturali di alto livello sia dal punto di vista dei contenuti sia del fattore umano, non solo per una formazione di qualità ma anche per la capacità di promuovere corsi di qualificazione, che consentono un aggiornamento costante sulle tendenze dei settori di riferimento e di riconvertire il personale in modo da realizzare un flusso continuo di conoscenze non solo all’interno di una singola impresa ma di tutte quelle che operano con caratteristiche simili di innovazione all’interno di un territorio. Attraverso i centri di formazione continua si possono infatti realizzare partnership e rapporti di collaborazione tra diverse realtà produttive in sintonia con le dinamiche del mercato del lavoro, che vadano oltre l’attuale consuetudine della maggior parte delle aziende di operare separatamente. Il mondo del lavoro sta subendo il mutamento più profondo dagli inizi della prima rivoluzione industriale nella seconda metà del Settecento e dall’avvento dell’era dell’informazione negli anni Settanta del Novecento, che ha preceduto l’attuale fase basata sull’economia della conoscenza fondata sull’innovazione radicale dei processi di ricerca e sviluppo, dell’organizzazione e dell’avvio di nuovi modelli di business.
Istruzione diffusa
Un importante studio dell’università di Oxford pubblicano nel 2013 (https://www.oxfordmartin.ox.ac.uk/downloads/academic/The_Future_of_Employment.pdf) aveva previsto che quasi la metà dei posti di lavoro negli Stati uniti, tra cui i broker che lavorano nei settori immobiliari, assicurativi e del credito al consumo rischiavano di essere sostituiti dai computer. Lo scorso anno il McKinsey Global Institute, la società multinazionale che opera nel campo della consulenza alle aziende, ha diffuso un report in cui si afferma che molto probabilmente un terzo dei lavoratori Usa dovrà cambiare lavoro entro il 2030 a causa della sempre maggiore diffusione dell’intelligenza artificiale. I precedenti cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro negli Stati uniti e nei paesi occidentali più industrializzati sono stati seguiti dalla richiesta di un’istruzione più diffusa e di migliore qualità. La fase iniziale di questo progressivo sviluppo della formazione in relazione alle mutate richieste del mondo del lavoro si è focalizzata sull’incremento dell’istruzione secondaria. Se, per esempio, nel 1910 solo il nove per cento dei giovani americani aveva conseguito un diploma, nel 1935 il loro numero era salito al quaranta per cento.
Formazione flessibile
A questa prima rivoluzione della conoscenza, che in Italia è cominciata nel secondo dopoguerra, è seguita negli anni Sessanta una seconda ondata sostenuta dal movimento College for All (università per tutti). Nel 1965 il presidente degli Stati uniti Lyndon B. Johnson ha promulgato la legge che ha aumentato in modo considerevole gli aiuti all’istruzione superiore pubblica e, tra il 1970 e il 2016 le iscrizioni nelle università statali degli Usa sono più che raddoppiate, da 8,5 a 20, 5 milioni di studenti. Nel nostro paese sotto la spinta dei movimenti di contestazione giovanile, alla fine del 1969 è stata emanata la legge che ha liberalizzato l’accesso all’università, ma questa riforma non è stata sostenuta da finanziamenti adeguati e ancora oggi il numero di laureati è inferiore a quello della media europea. Siamo ora entrati nella terza fase di questo processo segnato da un forte incremento dell’istruzione e di ampliamento della formazione. Come sottolineano numerosi economisti, educatori e imprenditori delle aziende tecnologicamente più avanzate, i livelli tradizionali di preparazione sono troppo rigidi e non più sufficienti per affrontare in modo consapevole le sfide della nuova economia 4.0. Attraverso la trasformazione digitale, negli ultimi dieci anni, con l’avvento dello smartphone e della robotica, con lo sviluppo dei Big Data e di Internet of Things (internet delle cose) la produzione post fordista ha subito un profondo mutamento. Questa nuova situazione richiede sempre nuove e più estese competenze sia a livello di base sia per quanto riguarda i quadri intermedi e le figure manageriali in modo da utilizzare le nuove tecnologie nel modo migliore. Sarà quindi necessario diffondere una nuova cultura e avere una diversa consapevolezza delle proprie competenze, che saranno flessibili e basate su un apprendimento continuo durante tutta la vita lavorativa in modo da riuscire a gestire i livelli crescenti di automazione in tutti i momenti in cui è necessario.
Competenze allargate
La terza rivoluzione della conoscenza potrebbe però accentuare in modo considerevole le disuguaglianze sociali ed economiche. Se già ora i giovani appartenenti alle classi più agiate hanno molte più probabilità di arrivare alla laurea rispetto a quelli dei ceti meno abbienti è probabile che queste differenze verranno accentuate dalla necessità di avere un’istruzione permanente. I lavoratori con alti livelli di preparazione avranno maggiori possibilità di raggiungere i gradi di formazione richiesti dalla nuova organizzazione del lavoro rispetto a quelli con ruoli marginali, che hanno problemi a trovare un’occupazione o svolgono la loro attività nei settori della gig economy, un settore non più limitato alla cosiddetta “economia dei lavoretti”. Un numero crescente di freelance e liberi professionisti svolge infatti mansioni un tempo esercitate da persone assunte a tempo indeterminato con stipendi sicuri e di buon livello e sta cambiando profondamente i tradizionali rapporti di lavoro. Per cercare di risolvere questi problemi è necessario basare i nuovi programmi educativi non più sulle abilità di routine che nella maggior parte dei casi possono essere sostituite da applicazioni di intelligenza artificiale, ma sullo sviluppo di competenze allargate. Un aiuto concreto per riuscire a integrare nel modo migliore le conoscenze tecnologiche, facilitare la risoluzione dei problemi, il lavoro di squadra e le capacità di comunicazione. La formazione sarà inoltre meno episodica di quanto non è attualmente grazie all’aiuto di programmi svolti prevalentemente dalle università non più legati ai tradizionali crediti formativi utilizzati nei corsi di laurea e orientati verso una maggiore velocità e fluidità di apprendimento, ma il numero di atenei disponibile a questa evoluzione dell’insegnamento è ancora limitato perché si contrappone ai modelli tradizionali che non prevedono l’addestramento o l’accompagnamento al lavoro.
Lavoro condiviso
La formazione non deve più essere considerata una risorsa cui fare ricorso solo in seguito a eventi negativi che colpiscono l’economia come per esempio una recessione, ma uno strumento fondamentale di politica aziendale. In ventotto stati degli Usa è in corso un interessante programma di work sharing (http://www.ncsl.org/research/labor-and-employment/work-share-programs.aspx) in cui la condivisione del lavoro consente alle imprese in difficoltà di ridurre le ore di attività invece di licenziare i lavoratori. Uno strumento utile alle aziende, che conservano tutto il potenziale di forza lavoro in attesa della ripresa economica, ai lavoratori che grazie agli aiuti statali mantengono quasi intatti salari e stipendi e allo stato che non deve ricorrere a più onerosi sussidi di disoccupazione, senza contare i grandi benefici dal punto di vista sociale. Questa possibilità può essere utilizzata non solo nei momenti di crisi economica ma anche per dare ai dipendenti la flessibilità necessaria per migliorare le proprie competenze mentre sono ancora impiegati e non hanno problemi di occupazione. Dato che formazione e istruzione dovranno accompagnare tutta l’esistenza dei lavoratori e che solo una minoranza può permettersi di frequentare corsi di aggiornamento, alcuni degli stati aderenti al programma di work sharing hanno creato dei Lifelong Learning Accounts, degli speciali conti per l’apprendimento continuo e la riqualificazione professionale, cui contribuiscono datori di lavoro e dipendenti. È difficile prevedere quali abilità saranno richieste nel futuro, ma è già possibile sapere che serviranno soft skills, conoscenze trasversali che fanno parte soprattutto del background di chi ha seguito studi umanistici, cui però mancano spesso le competenze tecniche sempre più richieste dai datori di lavoro. Sarà quindi necessario definire dei diversi programmi di studio in cui educazione tecnica e umanistica si integrano positivamente.
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“Causa la diffusione crescente dell’intelligenza artificiale circa un terzo dei lavoratori Usa dovrà cambiare la propria attività entro il 2030”
“I livelli tradizionali di preparazione sono troppo rigidi e non più sufficienti per affrontare in modo consapevole le sfide dell’economia 4.0.”
“Per poter gestire nel modo migliore i livelli crescenti di automazione in tutti i momenti in cui è necessario si dovranno acquisire nuove conoscenze”
“Nei futuri programmi educativi avranno un ruolo importante la capacità di comunicazione, saper svolgere e facilitare il lavoro di squadra”
“La formazione non deve più essere considerata una risorsa da utilizzare solo in seguito a eventi negativi ma uno strumento di politica aziendale”
“Per affrontare in modo positivo le sfide del futuro si i dovranno integrare in misura sempre maggiore conoscenze tecniche e studi umanistici”
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LE NEUROSCIENZE CAMBIERANNO IL MONDO?
Le nuove scoperte sui meccanismi del pensiero e delle emozioni fanno intravedere un futuro affascinante ma che pone numerosi interrogativi
Come suggerisce il neurobiologo francese Pierre-Marie Lldo, direttore della ricerca presso l’Institut Pasteur di Parigi e autore di numerosi libri tra cui Le Cerveau, la Machine et l’Humain (Odile Jacob, pp. 272, 23,90 euro, e-book 17,99 euro) gli studi svolti negli ultimi anni sul comportamento umano attraverso i meccanismi cerebrali che regolano e determinano la nostra coscienza, la memoria, l’attenzione o spingono per esempio a prendere una decisione invece di un’altra mutano profondamente le nostre concezioni e pongono le basi per una vera e propria rivoluzione in numerosi campi tra cui quelli della medicina e dell’apprendimento scolastico. Diversamente da quanto si riteneva fino a poco tempo fa, si sa ormai con certezza che la nascita continua di nuovi neuroni rinforza e alimenta la memoria durante tutto il corso della vita. La formazione di cellule nel cervello adulto senza soluzione di continuità può essere paragonata sia a un gesso che traccia dei segni su una lavagna sia a una spugna che cancella quanto si è scritto o disegnato e ribalta completamente la vecchia idea che il cervello ha una struttura troppo complessa per potersi rigenerare. Questo continuo cambiamento è paragonabile a una vera e propria fontana della giovinezza perché la produzione di neuroni cessa solo quando siamo noi a decidere di interrompere la nostra capacità di apprendimento e non, come si pensava, in base all’età, alla professione o allo stato sociale. Si aprono quindi degli scenari affascinanti per accrescere le nostre possibilità sia nel campo dello studio e del lavoro sia in quello delle relazioni. Ma dato che viviamo nell’epoca dell’intelligenza artificiale è bene non dimenticare che le capacità di analisi e intervento sul cervello umano non hanno solo aspetti positivi. Oltre all’opportunità di curare eventuali disfunzioni, gli studiosi ritengono infatti che sia anche possibile intervenire sul cervello umano per modificarlo. Una prospettiva inquietante che potrebbe rendere le persone simili a oggetti.